Come fare bella figura in salotto senza necessariamente sapere quel che si dice

Vedere Sanremo con gli amici

Andrea Ballarini
È inevitabile, come il canone televisivo. Ecco perché bisogna munirsi per tempo di banalità da snocciolare con nonchalance
- Un rito pagano.

 

- Un’oasi di arcaismo nell’infuriare della modernità, nel solco del travestimento da Zorro a Carnevale, dell’invio di cartoline postali e dell’alimentazione rustica al Festival dell'Unità.

 

- Seguire la serata finale a casa di un amico in compagnia di venticinque persone e pretendere che le altre ventiquattro seguano le canzoni in religioso silenzio.

 

- Sostenere di detestare Sanremo, ma non sapersi esimere dalla visione collettiva. Dolersene. Paventare trattarsi del fascino sottile dell’orrore ed eventualmente parlare di cupio dissolvi.

 

- Criticare aspramente il conduttore e, soprattutto, le sue assistenti. Commentare negativamente gli abiti improvvisando metafore dolciarie: è una meringa; è un Ferrero Rocher; è una bomba alla crema ecc.

 

- Far partire una pippa sull'anacronismo della figura della valletta: se a farlo è un uomo, ciò lo qualifica come maschio democratico del terzo millennio.

 

- Preparare paste fredde, pizze fredde e altri cibi scarsamente appetitosi nella vana speranza che ogni anno sia l'ultimo che si celebrerà la deplorevole cerimonia.

 

- Sì al finger food e in generale a qualunque cibo possa essere mangiato sul divano con una mano sola; abolire pietanze bisognose di essere tagliate e, massimamente, gli intingoli. Convenirne.

 

- Rifiutarsi categoricamente di partecipare alla visione collettiva dell’ultima sera attesta un’inossidabile tempra morale. (Vedi seguente)

 

- Scagliarsi contro chi non guarda Sanremo per partito preso: tacciarlo di snobismo intellettualistico. (Vedi seguente)

 

- Sostenere di non avere mai visto Sanremo neppure da soli. Non esagerare con l'eroismo. (Vedi seguente)

 

- Affermare che essere italiani e non avere mai visto Sanremo è come non avere mai mangiato gli spaghetti. Convenirne.

 

- Avanzare teorie complottistiche in base alle quali i vincitori sono decisi dal Gruppo Bilderberg o analoghe entità onnipotenti.

 

- Inviare decine di SMS per votare la canzone preferita con il dissennato entusiasmo di un sedicenne. Dopo la proclamazione del vincitore riassumere immediatamente l’aplomb di un ambasciatore britannico.

 

- Ricordarsi sempre di dire che la musica ancora ancora, ma i testi fanno schifo. Chi è anagraficamente adeguato valuti se canticchiare causticamente un analogo concetto esposto nella “Musica ribelle” di Eugenio Finardi.

 

- La serata finale non finisce mai… e poi bisogna riattraversare la città… e poi struccarsi… non essere a letto prima delle 3. Lagnarsene fin dalle 23.

 

- Criticare l'ambiguità semantica della definizione "Giuria di qualità". Indagare se l’accento vada posto sulla supposta maggior attendibilità dei giurati rispetto al grande pubblico o sull'insinuata incompetenza di quest’ultimo.

 

- Però Carlo Conti è bravo. Magari può non piacere, però per stare tutte quelle ore in diretta davanti a tanti milioni di spettatori, ci vuole del talento… Dirlo con solennità e arabescare a soggetto fino a sfollare il soggiorno.

 

- Se si vive all'estero trasformare la serata finale in un momento di affermazione identitaria della comunità italiana. Cantare in coro Toto Cutugno, ancorché con forte intento autoironico, evitare sempre.

 

- Ho visto alla televisione una delle serate di Sanremo. Ero a cena in casa di amici e non ho potuto sottrarmi. Questi amici intendevano vedere la trasmissione per ragioni di studio, essendo psicologhi e interessati ai fenomeni della cultura di massa. Alla fine mi sono accorto che a loro quella roba piaceva. (Da "Diario degli errori" di Ennio Flaiano)

 

- Scommettere su quale dei presenti dirà per primo "Perché Sanremo è Sanremo". 

 

- Gareggiare con gli amici a chi riesce a ricordare il momento più trash delle passate edizioni. Fuori concorso perché ovvi: Pippo Baudo che salva l'aspirante suicida nel 1995; i Jalisse che vincono il Festival nel 1997; il trio dadaista Pupo-Emanuele Filiberto-Luca Canonici del 2010.

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