La delegazione Pd dopo le consultazioni con Roberto Fico. Da sinistra Matteo Orfini, Andrea Marcucci, Maurizio Martina e Graziano Delrio (foto LaPresse)

Spiegare ai militanti l'intesa con il M5s. Manuale di conversazione per dirigenti del Pd

Andrea Ballarini

Tutti i luoghi comuni che potete utilizzare parlando delle recenti aperture tra democratici e grillini

Politici, dirigenti, militanti ed elettori del Partito democratico in questi giorni hanno anche, se non soprattutto, un problema di comunicazione: come spiegare ad amici e simpatizzanti del Pd la possibile intesa con il partito di Luigi Di Maio per la formazione del governo? Ci pensiamo noi del Foglio: ecco tutti i luoghi comuni che potete utilizzare parlando delle recenti aperture tra democratici e grillini.

 

Rifiutare è scortesia.

 

Affermare che fosse l’unico modo per scongiurare la maratona di Mentana che, nel caso di nuove elezioni entro l’anno, ne ha già programmato una per gli ultimi sessanta giorni di campagna elettorale.

 

Il nemico va combattuto dall’interno.

 

Dire, giurin giuretta, di non avere mai realizzato prima che i cinque stelle fossero i grillini.

 

Farlo per vedere se si riesce a far invadere la Polonia da Salvini.

 

Così, tanto per fare casino.

 

Pur di evitare una seconda campagna elettorale in meno di un anno essere disposti a tutto, persino a governare.

 

Fare la supercazzola. Se qualche collega chiede ulteriori spiegazioni replicare con decisione: “Antibodi”.

 

Citare “Amor ch’a nullo amato amar perdona”. Se qualche collega di partito dovesse lamentare la strumentalizzazione del divin poeta, replicare che in realtà si stava citando “Serenata rap” di Jovanotti.

 

Sostenere che i 5 stelle è da un pezzo che avrebbero voluto allearsi col Pd, ma che non l’hanno fatto per evitare di sembrare troppo ansiosi di governare con chiunque. Valutare se citare il Duca di Mantova del Rigoletto: “Questo o quello per me pari sono” per suggerire un solido bagaglio culturale.

 

Durante la riunione per decidere l’atteggiamento del Pd nei confronti dei 5 stelle alzarsi di scatto e ottenere il silenzio dicendo a voce altissima: “Oh! Mo’ v’o buco quer pallone!”

 

Sostenere che sono capaci tutti di andare al governo avendo stravinto le elezioni. E’ per andarci dopo una disfatta elettorale che ci vuole talento.

 

Ricordarsi di dire che in questo modo si diventerà l’ago della bilancia e si potrà condizionare la politica del governo. E comunque piuttosto che niente, meglio piuttosto.

 

Spingere per un accordo principalmente per vedere quanto tempo ci metterà l’ala contraria a ogni dialogo con i 5 stelle a cambiare parere una volta che quello sarà diventato operativo. Contestualmente ricordarsi sempre di dire che in un partito autenticamente democratico le diversità di opinione sono un valore.

 

Proclamare che per far risorgere il Pd bisogna rifondarlo da zero. E questo potrebbe essere il modo per ripartire veramente da zero.

 

Dire che, a ben guardare, le ultime elezioni non sono andate poi così male. Se qualcuno chiede spiegazioni replicare che, in fondo, le ha vinte un partito solo e, con quello che c’è in giro di questi tempi, avrebbe potuto andare molto peggio.

 

Rilasciare un’intervista a un quotidiano di destra dicendo di avere colto il reggente del Pd domandare a un collega: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”.

Il “Manuale di conversazione” di Andrea Ballarini esce tutti i venerdì su www.ilfoglio.it

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