Come fare bella figura senza necessariamente sapere quel che si dice
Le app
I nostri telefonini ne rigurgitano. Ce n’è una, e spesso più di una, per ogni evenienza. Alcune ci hanno cambiato la vita. Certe in meglio. Altre in peggio. In ogni caso, non lasciatevi sfuggire l’occasione di dirne. Male o bene, secondo l’umore
- Le app sono la vita come dovrebbe essere: si preme un pulsante e si ottiene la soluzione di qualunque problema. Sfortunamente la vita analogica è ferma ai tempi della tv Radiomarelli in bianco e nero: si preme il pulsante e non funziona più niente. Dolersene.
- Averne tantissime, ma usarne solo tre, ciononostante cambiare lo smartphone perché non ce ne stanno di più.
- Avere scoperto l’applicazione “Poop log” che aiuta a monitorare la regolarità intestinale attravreso una serie di parametri (frequenza, eventuali difficoltà di evacuazione, dimensioni, forma ecc.) e, qualora lo si volesse, a condividere il lieto evento. Puro dada.
- In caso si andasse a vivere su un’isola deserta, non mancare di scaricare per soli 1,59 euro “Confession”, che aiuta a fare l’esame di coscienza, a riflettere sui propri peccati (debitamente elencati in una lista precompilata) e a ottenere la conveniente penitenza. Dopo una prima benedizione il Vaticano ha ritirato il placet. Peccato.
- Desiderare ardentemente conoscere chi ha concepito Snapcat, che consente ai gatti di farsi i selfie. Auspicare che sia inclusa nel contratto di governo per tutti i possessori di mici. Plaudire alla creatività del nome.
- Indispensabile per monitorare la propria capacità autoerotica, con tanto di statistiche sulla velocità, l’angolatura e la durata alla mano, si segnala per il vigore poetico del suo nome l’app “Segometro”. È prevista anche l’entusiasmante possibilità di condividere i risultati in rete. Già effettutati circa 150mila download. Spasmodica attesa per la versione Pro.
- Scambiarsele come le figurine. Rammaricarsi che non diano la stessa soddisfazione perché accompagnare il mantra “celo-celo-manca” con lo schiocco della figu di Pizzaballa era innegabilmente più scenografico. Convenirne.
- Gareggiare con gli amici a chi ha scaricato l’app più idiota. Assicurarsi sempre di far percepire chiaramente il forte senso autoironico.
- Considerare con sospetto tutte le app posiziona come irriducibili paladini dell’era analogica, allorché per divulgare urbi et orbi certe cazzate era richiesto un impegno incomparabilemente superiore a quello necessario al giorno d’oggi.
- Per il bene del proprio ménage, ricordarsi sempre di proteggere lo smartphone con una password che impedisca di accedere anche all’homepage. Diversamente sarebbe difficile giustificare la presenza dell’applicazione “Girls Manager”.
- Una volta il segno che un uomo stava invecchiando era l’ipertrofia prostatica. Ora invece è l’atrofia del pollice opponibile che, al contrario, suo figlio adolescente usa alla velocità della luce, con qualsiasi app. Convenirne.
- Avere scaricato decine di app che non si riesce neppure più a ricordare a cosa servano è quanto di più simile ci sia alla versione 3.0 dell’Alzheimer.
- Sviluppare nei confronti delle app lo stesso atteggiamento che si aveva un tempo nei confronti dei libri: le si tiene lì, per quando si avrà il tempo di occuparsene, allorché si sarà andati in pensione. Deplorare.
- Parlare di app per suggerire di essere in sintonia con lo zeitgeist. Fare attenzione a usare il termine zeitgeist in certi ambienti, per non scoprire subito il bluff.
- Mio figlio ha una app che gli propone settimanalmente un sunto delle novità letterarie. L’altro giorno mi ha visto che leggevo un libro e mi ha chiesto con un’aria stupita: “Ma lo leggi tutto?” Non ho avuto il coraggio di dirgli la verità e gli ho risposto che leggevo solo le prime parole di ogni capoverso e neanche per intero. “Ah, meno male, mi stavo preoccupando.” (Vita vissuta di un coetaneo dei tempi del liceo)
- Manca un’applicazione per trovare la nonna più vicina dove andare a pranzo. (Nencios, Twitter)
Il Foglio sportivo - in corpore sano