John Elkann (foto LaPresse)

Che editore sarà John Elkann?

Massimo Mucchetti

Il nipote di Gianni Agnelli con Repubblica (che resta diversa dall’Economist). Cir senza un buon motivo per essere scalata

I figli di Carlo De Benedetti hanno venduto Repubblica e le altre attività editoriali del gruppo Gedi alla Exor degli Agnelli. Chiedersi perché abbiano preso questa decisione, nell’aria da tempo, è naturale. Ancor più interessante, tuttavia, è chiedersi quale tipo di editore potrà essere John Elkann, nipote di Gianni Agnelli e ormai leader riconosciuto di quella che un tempo veniva chiamata la Royal Family.

 

Le risposte possono essere tante, non ultime quelle suggerite dalle parentele tra i fondatori dell’Espresso e di Repubblica, l’Avvocato e lo storico direttore della Stampa, Giulio Debenedetti, ancorché l’acquirente escluda la nostalgia tra le motivazioni dell’offerta. Ma, se si guarda agli interessi del venditore, non si può non considerare il radicale cambiamento degli equilibri azionari che si manifesterà nel gruppo Cofide-Cir a partire dal primo gennaio 2020, quando diventerà operativa la fusione tra le due società. Finora, questo gruppo non era scalabile perché la holding posta al vertice della piramide, la Cofide, era controllata saldamente dalla famiglia De Benedetti. Ma, a fusione perfezionata, la partecipazione dei De Benedetti scende nei dintorni del 30 per cento senza nemmeno la protezione del voto maggiorato, previsto dallo statuto della Cofide e destinato a decadere il 31 prossimo dicembre.

 

 

La nuova Cir avrebbe potuto suscitare gli appetiti di eventuali scalatori per almeno tre ragioni. La prima è costituita dal prestigio e dal potere di influenza di Repubblica, per quanto insidiati dal costo di una ormai inevitabile ristrutturazione. La seconda consiste nel valore delle radio e delle testate locali depresso dall’holding discount determinato dalla loro appartenenza a Gedi ma catturabile attraverso un break up. La terza ragione è data dagli oltre 300 milioni di euro di liquidità detenuti dalla Cir, beneficiaria del risarcimento pagato da Silvio Berlusconi a chiusura dei noti contrasti con l’Ingegnere.

 

 

Uscendo da Gedi, la Cir leva dal tavolo due delle tre attività particolarmente appetitose. La Cir, peraltro, ricava da Exor molto di più di quanto aveva offerto Carlo De Benedetti per il 29,9 per cento di Gedi, ancorché non abbastanza da evitare una perdita rispetto all’elevato valore al quale la partecipazione editoriale è caricata a bilancio. Ma i benefici fiscali connessi alla perdita addolciranno la pillola resa comunque meno amara da Elkann. Specialmente ove Cir liquidasse, guadagnando, altre partecipazioni. Quanto alla liquidità, che a esecuzione dell’accordo appare destinata a crescere, potrà essere utilizzata per nuovi investimenti o per dividendi straordinari.

 

Carlo De Benedetti aveva spiegato l’ammontare contenuto della sua offerta, maturata all’esito di profondi dissidi con gli eredi ai quali aveva regalato le azioni di Cofide, e dunque il controllo del gruppo, con il progetto di destinare quel quasi 30 per cento di Gedi a una fondazione per sganciare Repubblica dai mutevoli interessi dei soci e garantirne l’indipendenza nel tempo. Naturalmente, il progetto dell’Ingegnere si presta a osservazioni critiche, la prima delle quali è perché proprio adesso e non, poniamo, 10 anni fa. Non di meno la questione dell’indipendenza del giornale – di questo come di altri – resta e diventa una punto non banale per Elkann, che si trova a capo del maggior gruppo industriale privato italiano: al di là della localizzazione olandese delle sedi legali, infatti, Fca, Cnh Industrial e Ferrari conservano nella penisola decine di stabilimenti con molte decine di migliaia di dipendenti e di fornitori.

 

La questione dell’indipendenza di Repubblica – la sua emancipazione dal sospetto di conflitti di interesse – non sollecita solo l’attenzione del mondo politico e finanziario, ma rappresenta anche un elemento non trascurabile nella competizione con il Corriere della Sera, che è ora controllato da un editore puro come Urbano Cairo (la proprietà del Torino Calcio, non la consideriamo…). Ebbene, John Elkann potrebbe superare questa difficoltà, o almeno ridurne la portata, applicando alla governance del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, Carlo Caracciolo e Mario Formenton le regole ferree dell’Economist. Exor ha acquistato, pagandolo bene, il 43 per cento del settimanale britannico e ne ha accettato le modalità di gestione che rendono assai poco influenti gli azionisti nella nomina del direttore e nella definizione della linea politica, peraltro garantita dal comune radicamento nella cultura liberale. Certo, fare a Roma quello che si fa a Londra sconta una certa differenza di radici politico-culturali. E non costituisce di per sé una garanzia di infallibilità, come ha ben documentato Giuliano Ferrara non molto tempo fa. Resta il fatto che la constituency di Repubblica è meno liberale di quella dell’Economist. E che Gedi è un gruppo editoriale con un lettorato nazionale e non globale come quello del settimanale britannico. Ma è anche certo che il tempo passa e tutto cambia. Anche il modo di stare a sinistra di un giornale. Il rispetto delle radici non fa danni solo se coltivato in prodotti editoriali al passo con i tempi della rivoluzione digitale e della democrazia difficile. Da solo non fa il bilancio. E il rapporto con le novità, se acritico, ha nell’editoria effetti diversi da quelli che può avere nell’industria, come dimostra il diverso esito del posizionamento filorenziano nella Fca di Marchionne, comprensibile e utile, e nella Repubblica di qualche anno fa, segnato dall’emorragia di lettori superiore al dovuto.

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