Qual è la domanda giusta?
Come il Summit di Singapore tra Trump e Kim Jong-un sia divenuto un pretesto per riflettere sul significato di eventi storici o sul procedere stesso della Storia. Per cui troppo spesso abbiamo risposte pronte e buone per qualsiasi domanda
«Continuo a cercare le domande giuste» mi ha detto un ricercatore italiano che lavora a Singapore da molti anni. Ormai dirige un gruppo di lavoro importante e avevo pensato si occupasse soprattutto di gestione. Con quell’affermazione, invece, rivendicava il suo ruolo centrale nella ricerca.
Per caso (anzi, per sincronicità, stando al pensiero di Jung), mentre facevo l'ennesima ricerca sul pensiero magico in Asia (nel post precedente), nel sito del Cicap, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, ho trovato una storiella che spiega il senso di quell’affermazione: “due personaggi vanno in cerca della verità. Il primo va in giro con delle domande, alla ricerca di risposte. Il secondo, invece, va in giro con delle risposte, alla ricerca di domande. Sono due atteggiamenti che incontriamo spesso nella vita: da un lato persone aperte al nuovo, curiose, pronte persino a rimettere in questione le proprie idee di fronte a fatti nuovi, controllati e verificati. Dall’altro persone che si ritengono portatrici di verità e che cercano solo conferme alle proprie idee, respingendo tutto ciò che le contraddice”.
Nel breve tempo che mi sono concesso a Singapore dopo aver seguito lo "Storico" Summit tra Trump e Kim Jong-un per incontrare vecchie e nuove conoscenze, continuavo a chiedermi quale fosse il modo per comprendere e analizzare ciò che era accaduto, perché sentissi sempre il bisogno di mettere tra virgolette l’aggettivo storico. Quasi che non lo fosse, non lo apparisse o i personaggi non ne fossero degni. Ed ecco che il mio vecchio amico professore mi offriva la chiave per risolvere i miei dubbi. In un modo o nell’altro, tutti gli osservatori presenti (me compreso), più che domande avevamo già pronte delle risposte che cercavamo di adattare a possibili domande.
«Ormai il vero controllo sta tutto nelle interpretazioni. Non sono false le notizie, sono falsificate le interpretazioni» mi ha detto il mio nuovo amico Fong Hoe Fang. Un ex contestatore della “democrazia controllata” di questa città stato, reduce della Congiura Cattolico Marxista degli Ottanta. Che oggi dirige una piccola casa editrice, la Ethos Book: pubblica memoir degli imprigionati di allora e libelli pro democrazia di oggi. Oltre che buona letteratura e poesia.
Intanto Fong mi ha dato un nuovo indizio per risolvere quello che mi appariva "un indovinello, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma". Poche volte questa frase tanto citata di Winston Churchill si adatta al contesto: lo statista inglese, infatti, definiva così la spartizione della Polonia tra l’Unione Sovietica di Stalin e la Germania di Hitler. Il Summit di Singapore, insomma, era ed è qualcosa che può essere falsificato da chi vuole trovarci una conferma alle proprie idee o ai propri desideri. La domanda giusta da farsi, per ora e per me, resta oggetto di ricerca.
Secondo Fong, tuttavia, c’è una possibilità per riuscire a distinguere il vero dal falso: la collective wisdom, la “saggezza collettiva”. Attenzione, però: questa espressione non significa, per Fong come per la cultura asiatica, il comune sentire della gente (cadendo nella trappola della follia collettiva), bensì la condivisione di idee, conoscenze, studi, in una riflessione sul futuro che abbia una dimensione globale. Fong ha elaborato questa concezione proprio perché vive a Singapore: quella che è definita la città globale per eccellenza, una sorta di rete neurale, come ha dichiarato il primo ministro Lee Hsien Loong “in cui i dati possono essere condivisi per sbloccare valore e innovazione”.
“Singapore che io proprio per questo adoro, perché è PURO, un esperimento sociale senza interferenze, senza vie di fuga per lo sguardo, senza possibilità di fraintenderlo, di disconoscere la nostra società e le nostre esistenze (esangui) per quel che sono” ha scritto Andrea Berrini, anima della casa editrice Metropoli d’Asia, che racconta Fong nel suo “Scrittori dalle metropoli. Incontri a Pechino, Mumbai, Delhi e Singapore”.
Eppure, secondo Fong (e come fanno intuire le parole di Berrini), Singapore rischia il collasso proprio perché mancano interferenze o vie di fuga. Dovute sia al controllo delle informazioni sia alla dimensione: isola di 40 chilometri per 30. «Il sistema finanziario attira i superricchi del pianeta, i centri di ricerca richiamano menti più brillanti, ma per chiunque altro la vita diventerà impossibile» spiega Fong. Quella che lui immagina non è tanto un’immagine distopica da grande fratello, quanto una sorta di Elysium, lussuosa, avveniristica e fornita di un perfetto ecosistema terrestre (come quella del film con questo titolo).
A differenza del film, tuttavia, i campi elisi di Singapore (che sembrano trovare materializzazione nei suoi Garden by the Bay) rischiano una decadenza più che una rivolta.
Secondo Fong è necessaria la connessione, la condivisione. Tanto più in uno scenario come quello asiatico, dove altre megalopoli, da Bangkok a Hong Kong, da Jakarta a Manila, senza contare le cinesi, cominciano ad aprirsi al territorio circostante, non si isolano ma si ramificano all’interno di ogni singola nazione e in tutto il continente, non utilizzano risorse preselezionate ma le coltivano, le aiutano a evolversi seguendo un modello confuciano di benessere comune (oggi elaborato dal Global Institute for Tomorrow, un think tank di Hong Kong).
Forse, però, Singapore sta dimostrando maggior resilienza di quanto pensi Fong. Proprio perché continua a chiedersi quale sia la domanda giusta. “Nel momento in cui i dati, le informazioni, sono considerati il petrolio del XXI secolo, sono inutili se non c’è un maggior numero di persone, dagli studenti agli anziani, che abbia la capacità di analizzarli. Di porre domande migliori” ha scritto Marcus Loh dell’Institute of Public Relations. “Mentre negli ultimi tre anni si sono prodotte globalmente più informazioni che negli ultimi 5000, solo lo 0,5 per cento di queste è stata utilizzata in modo significativo”.
Ci sono troppe risposte sbagliate per poche domande esatte.