Il medico taoista delle montagne del drago di giada
Con questo magico nome era noto Ho Shi-Xiu, erborista che viveva ai piedi di un massiccio montuoso dello Yunnan. Il dottor Ho è morto. Con lui scompare un mondo. Ma rinasce nella memoria collettiva. Secondo l’antica tradizione cinese. Che potrebbe servirci da lezione.
Il ricordo è scaturito casualmente, leggendo un articolo necrologio pubblicato pochi giorni fa, che rischiava di sfuggirmi tra le notizie della geopolitica asiatica.
Avevo incontrato il dottor Ho quindici anni fa, in un villaggio dello Yunnan, mentre risalivo il corso del Mekong. In varie divagazioni psicogeografiche avevo intersecato lo Yangtze, ai piedi della catena dello Yulong Xueshan, le montagne del drago di giada. Avevo così raggiunto Lijiang, patrimonio culturale dell’umanità, culla dei Naxi, etnia d’origine tibetana. La loro cultura è incarnata nel dongba shaman, figura complessa che compendia in sé l’uomo saggio, lo stregone, il professore, l’artigiano, l’artista. Sembrava che i dongba shaman fossero tutti morti. Quasi.
Quell’incontro è una delle tante storie comprese in un lungo viaggio e raccontate in un piccolo libro: Mekong Story.
Ne riprendo qualche brano non solo perché le storie di quel libro sono anche all’origine di questo Mekong Café, o perché farle rivivere serve da impulso a cercarne di nuove. Ma anche perché, ripensandoci a distanza di un tempo che può essere tanto breve quanto lungo – dipende dal punto di vista - il dottor Ho mi appare come un’incarnazione dei mutamenti asiatici: dal mito alla sua narrazione e dalla narrazione alla creazione di un nuovo mito.
“Yunnan significa a sud delle nuvole e in questa remota regione della Cina meridionale, confinante con Tibet, Laos, Myanmar e Vietnam, leggende e arcane culture s’intrecciano come le nuvole che scorrono tra le montagne in forme di draghi e fantasmi. Questa è una regione ancora relativamente esterna al nuovo corso, un santuario di diversità culturali e ambientali: venticinque delle cinquantasei minoranze etniche cinesi vivono qui, quasi metà delle specie naturali del paese sono diffuse in ecosistemi che vanno dalla foresta pluviale alle catene pre-himalayane, disposte in muraglie parallele attraversate da tre grandi fiumi: lo Yangtze, il Mekong e il Salween…
Attraversando lo Yunnan sembra di scorrere le youji, le “peregrinazioni in luoghi sublimi” di Xu Xiake (1587-1641), esploratore-geografo della fine dei Ming. E lungo il cammino ho cominciato a comprendere perché in cinese il termine lontano, yuan, sia semanticamente tanto vicino a xuan, mistero…
È proprio in Yunnan che gli esploratori del mistero hanno identificato Shangri-La, il favoloso regno della pace dove gli uomini vivono per centinaia d’anni in saggezza e serenità, descritto in “L’ultimo Orizzonte” di James Hilton, che nel 1933 anticipò la new age. È una storia di pura fantasy che fu ispirata dai reportage di Joseph Rock per il “National Geographic”. Affascinante figura di esploratore-avventuriero, dal 1922 al 1949 Rock visse nel piccolissimo il villaggio di Yuhu, spingendosi nelle sue spedizioni sino ai confini del Tibet. I suoi racconti non hanno solo creato il mito di Shangri La, ma hanno contribuito a formare quello del National”.
Anche per questo ero arrivato a Lijiang.
“All’inseguimento di quei miti, percorro le strade che conducono ai villaggi Naxi sparsi a nord di Lijiang, dove la vita sembra trascorrere come secoli fa, o quantomeno come fu descritta da Joseph Rock. Non trovo Shangri-La, ma mi sembra di avvertirne lo spirito. È inevitabile che ciò accada. Pedalando da solo tra campi, risaie, canali bordati d’alberi di pesco, sullo sfondo della montagna di neve del drago di giada, l’idea di un luogo di pace e saggezza non sembra così fantasiosa. La magia mi pervade nel palazzo Dabaoji del villaggio di Baisha, che nel XIII secolo fu capitale del regno Naxi. È decorato da affreschi che riproducono il ba gua circolare, ossia gli otto trigrammi dell’I Ching, il libro delle mutazioni che racchiude i segreti del passato e del futuro. Il potere mistico di questi segni è amplificato dal simbolo del Tao disegnato al centro e da quelli del buddhismo tantrico tibetano che li circondano.
A Baisha vive colui che forse è l’ultima incarnazione del mito. È il dottor Ho Shi-Xiu, di nazionalità Naxi, classe ‘23, un vecchio erborista divenuto famoso perché Bruce Chatwin lo definì “il medico taoista delle montagne del drago di giada”. Da allora qualunque giornalista passi di qui va a trovarlo, continuando ad alimentare la fama e, soprattutto, l’ego del dottore. Felice della mia visita, mi mostra una raccolta di biglietti da visita di visitatori e ritagli di tutto il mondo – compresa una vecchia copia di “Airone” – che parlano di lui. Continua a ripetere gunggu, ossia Google, per confermare la sua fama anche in rete. Mi spiega che con le erbe che raccoglie sulle montagne secondo la tradizione dongba può guarire anche la leucemia. Dice che ha curato trecentomila pazienti e mi fa vedere una decina di lettere di ringraziamento e benedizione per avergli salvato la vita. Mi prepara un tè, assicurandomi che mi sentirò molto più forte. Mi regala un sacchetto con le stesse erbe, accompagnandolo con un biglietto in cui traccia i caratteri che significano fede, benevolenza, umanesimo. A dire il vero il dottor Ho non si dichiara taoista, anzi manifesta una certa simpatia per Confucio. E il suo manuale di erboristeria nulla ha di alchemico, ma è il testo ufficiale delle piante officinali cinesi. Devo ammettere, però, che l’aspetto è quello di un mago della tradizione taoista”.
A quel tempo annotai anche che il dottor Ho mi sembrava affetto da “Una sorta di lieve, benevola, demenza senile” e che “Credo che Chatwin ci abbia fantasticato un tantino”. Ma oggi, per quanto non sia divenuto centenario, il dottor Ho sopravvive, così è definito nel necrologio - come “una leggenda, un personaggio, un pioniere, un “influencer”, un saggio, un mago stravagante e un guaritore”. Col passar degli anni, mi rendo conto che il dottor Ho era l’archetipo dei protagonisti della nuova rivoluzione culturale cinese, che a loro volta sembrano ispirati dall’I Ching, il Classico del Cambiamento, in cui la realtà non è mai come appare.
Indulgo a “Gnosticismi fantastici…Fantasie ontologiche”? Come nelle Memorie di un bevitore, non per effetto dell’alcool bensì del vivere nel conflitto tra Oriente e Occidente, cerco di costruire ponti illusori sopra abissi vaneggianti? È un dubbio legittimo, che mi pongo io stesso.
Ma tutto può apparire meno fantasioso se sostituiamo alla figura del dottor Ho, quella di Jack Ma, il fondatore di Alibaba. “La sua strategia per l’espansione di Alibaba è fondata su una filosofia che coniuga una forte disciplina capitalista con il Taoismo, il Confucianesimo e il buddismo” scrive l’Australian Financial Review. Lui stesso dichiara di trarre ispirazione dal Tao Te Ching, il classico del taoismo e sempre più spesso e volentieri, ama rappresentarsi come un maestro delle più esoteriche discipline cinesi.
Jack Ma esprime l’ennesimo mutamento che avviene a Oriente, culla dei nuovi maghi coi quali l’Occidente dovrà confrontarsi. Peccato che a loro sappia opporre solo degli apprendisti stregoni. In certi casi, che ci toccano da vicino, molto simili a quelli rappresentati da Topolino in Fantasia.