La Thailandia che verrà
Le elezioni di domenica 24 marzo, le prime dopo otto anni, sembrano destinate a segnare un punto di svolta non solo per il Regno ma per tutta l’area. Alla vigilia i risultati appaiono tanto incerti quanto oscuri. Con un’unica certezza: la volontà di cambiamento sembra più forte del tradizionale desiderio thai per una vita all’insegna del “mai pen rai”, non prendertela, non importa.
«Cosa ne pensi? Cosa succederà?». In questi giorni sono molti tra i conoscenti thailandesi che si rivolgono a me per una previsione sulle elezioni del 24 marzo, le prime dopo otto anni e dopo quasi cinque anni di regime militare.
Qualcuno mi chiede addirittura consiglio. «Chi voteresti?» domanda la proprietaria del ristorante dove vado abitualmente.
Altri, come una giovane coppia di professionisti in carriera - lei specialista di diritto finanziario internazionale, lui ingegnere elettronico - affermano che «nessun candidato è buono» ma si dichiarano disponibili a sentire la mia opinione.
Il che è piuttosto bizzarro. Considerando che molti di loro, anni fa, durante le manifestazioni che avrebbero spianato la strada al colpo di stato, mi criticavano con molta enfasi, indipendentemente dalla loro posizione politica e dalla mia opinione.
«Non sei thai, non puoi capire» mi dicevano tutti. Era la prima volta che mi facevano sentire un farang, uno straniero, senza quella simpatia che mi veniva riservata proprio in quanto tale.
Forse sono cambiato io, forse loro, forse entrambe le cose. Forse, col passar degli anni, mi vedono sempre più come un anziano, un “pu yai”. “Papa” per il ragazzo del mototaxi che ogni giorno mi accompagna da qualche parte, per l’istruttore di Muay Thai o la cameriera del ristorante. Comunque, una persona da rispettare in un paese dove l’anzianità è uno status. Forse hanno anche cominciato a giudicarmi come qualcuno che non pretende di giudicarli – come fa la maggioranza degli stranieri – e quindi merita di essere ascoltato.
La metamorfosi maggiore è quella che li riguarda. Oggi anche quelli che sostenevano i militari mostrano insofferenza nei loro confronti. «Adesso basta, è ora che se ne vadano» dice la gentilissima condomina che per un certo periodo non mi aveva più rivolto la parola perché li avevo criticati. Tutti vogliono un cambiamento. Il che spiega il grande successo, almeno a parole, di Thanathorn Juangroongruangkit, giovane, bello, miliardario, fondatore del partito Anakot Mai, che in thai significa “nuovo futuro” e in inglese è stato tradotto come “Future Forward”. Secondo i codici thailandesi, si potrebbe definire “rivoluzionario”, ma i contenuti reali sono meno importanti dell’immagine e dall’idea che rappresenta: il distacco dal passato, da una cultura e una società divisa in classi e dove ognuno può trovare qualcuno che gli sia superiore. Ecco perché Thanathorn trova concordi Nalin, la proprietaria del ristorante e l’anziana cameriera che mi chiama papa. Senza contare il supporto dei numerosissimi giovani che votano per la prima volta (circa 7 milioni su 51, oltre gli altri milioni di giovani che votano per la seconda volta), che apprezzano in particolare la sua proposta di abolire la leva militare).La voglia di cambiamento penalizza invece il Partito Democratico, qui roccaforte dei conservatori, e il suo leader Abhisit Vejjajiva, colpevole di rappresentare l’establishment, i “poteri forti” e ancor più una visione politica troppo fredda. «Abhisit è un “professore”» mi dice il proprietario di un negozio d’arredamento frequentato da “jao sua”, i ricchi e potenti.
In compenso i democratici sembrano destinati a raccogliere il voto della maggior parte dei “gialli”. Quegli stessi ultraconservatori che lo giudicavano troppo debole e incapace di reggere il confronto con l’opposizione dei “rossi”, la maggioranza popolare seguace dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, oggi sembrano molto delusi dal governo del generale Prayut Chan-o-cha. Per guadagnare consensi, infatti, il generale e gli uomini del suo partito, il Palang Pracharat, molti ex militari che si sono scoperti una vocazione politica, sembrano essersi convertiti al “pracha rat”, una forma di populismo che coniuga leggi paragonabili al reddito di cittadinanza (la “welfare card” introdotta dalla giunta che garantisce una somma mensile da spendere in beni di consumo) e manifestazioni di “kwampethai”, la thailandesità, nelle sue forme più tradizionali e popolari.
Gli agricoltori dell’Isaan, il nord-est del paese, la regione più povera della Thailandia, il serbatoio di manodopera, conducenti di taxi e mototaxi, prostitute e domestiche, uomini e donne delle pulizie di Bangkok, tuttavia, sembrano ancora fedeli al Phak Pheu Thai, il partito dell’ex premier Thaksin. Anzi, più che al partito, a Thaksin stesso. «Voto per Thaksin» mi dice un taxista, senza menzionare il partito.
L’evocazione del nome è così forte che molti candidati del Pheu Thai, specie nell’Isaan, hanno cambiato il proprio in Thaksin o in quello di sua sorella Yingluck, che fu eletta primo ministro nel 2011 (e poi destituita nel 2014).«Thaksin sembra diventato uno spirito» commenta Chris Backer, storico, uno dei più profondi studiosi della cultura thai, che ben conosce lo stretto rapporto tra mondo magico e politica.
Numeri alla mano e con l’aiuto degli spiriti, il Pheu Thai sembra destinato alla vittoria. Risultato che sarebbe stato quasi scontato se fosse riuscita la manovra (ancora misteriosa nei suoi motivi e nelle sue implicazioni) di candidare a primo ministro la principessa Ubolratana Rajakanya Sirivadhana Varnavadi, sorella maggiore dell’attuale re Maha Vajiralongkorn, tra le file del Thai Raksa Chart, altra emanazione del partito di Shinawatra (la legge elettorale ultraproporzionale ha determinato un proliferare di liste). La principessa è stata sconfessata dal fratello e il partito è stato sciolto per aver violato la norma che impedisce commistioni tra politica e casa reale. Ma alla fine questo affaire da soap opera, più che danneggiare il maggior partito d’opposizione ha favorito il Future Forward su cui dovrebbero confluire i voti del Thai Raksa Chart.
Sembra delinearsi, quindi, un fronte unito d’opposizione che potrebbe ottenere la maggioranza in parlamento. Perché ciò si realizzi, tuttavia, la vittoria del fronte dovrebbe essere schiacciante. Secondo la nuova costituzione elaborata nel 2015, infatti, la giunta ha il controllo del senato (i suoi 250 membri non sono eletti bensì designati) e per formare la maggioranza di governo sono sufficienti 126 deputati, mentre l’opposizione dovrebbe conquistare 376 seggi. L’ago della bilancia, quindi, potrebbe essere proprio il partito democratico, che ha già fatto capire di essere disponibile a diverse alleanze. Ma bisognerà anche tener conto dei “ngu hao”, i cobra, i nostri voltagabbana.
In questa situazione tanto confusa c’è già chi teme o auspica un nuovo colpo di stato.
Come ha dichiarato un generale, se dopo le elezioni si dovessero creare disordini (inevitabili, secondo lui, in caso di vittoria dell’opposizione) i militari dovrebbero riportare l’ordine. Per alcuni osservatori è una possibilità aggravata dalle voci di lotte interne in seno all’esercito, secondo cui l’attuale primo ministro ed ex generale Prayut Chan-o-cha non avrebbe più il controllo delle forze armate.
In realtà un nuovo golpe sembra piuttosto improbabile. Innanzitutto, perché difficilmente si potrebbe applicare l’aggettivo "incruento" adottato nei precedenti colpi di stato del 2006 e 2014. In questo caso, infatti, i militari non avrebbero più il sostegno dei “poteri forti” e della borghesia conservatrice che temono la crisi economica che ne deriverebbe. Tanto più che nel 2019 la Thailandia ha la presidenza di turno dell’Asean e un golpe non sarebbe il miglior modo di presentarsi sulla scena.
Qualsiasi manovra postelettorale, infine, dovrà tener conto che nei primi giorni di maggio si svolgeranno le solenni celebrazioni per l’incoronazione del nuovo re, Rama , che appare del tutto intenzionato a far valere la propria autorità.
Per capire quale sarà il vero futuro della Thailandia, probabilmente, bisognerà attendere un po’ di tempo. Tra l’altro è stata fissata per dopo le elezioni l’udienza contro i leader del Future Forward indagati per cybercrime per aver “diffuso false informazioni” su Facebook.
Quando finalmente verrà formato il governo, sarà un segnale molto forte per tutto il Sud-est asiatico, nel bene o nel male. La Thailandia può davvero indicare una linea di tendenza nella definizione della filosofia politica dell’area dove si confrontano la democrazia di stampo occidentale e la democrazia controllata ispirata ai “valori asiatici”, un’area che in pochi decenni ha avuto un’accelerazione economica di portata epocale e sta assumendo un valore strategico sempre più forte, spostando a Oriente il baricentro globale.