Il Covid-19 in thailandia al 28 giugno. Totale contagi, guariti, ospedalizzati, deceduti

Nostalgia d'Asia

Massimo Morello

Forse si è già diffusa tra coloro che precipitosamente sono fuggiti dell’Asia nel timore di contagi senza controllo. invece in quell’area si rilevano cifre irrilevanti. Che meriterebbero un’analisi più approfondita

La Sindrome di Argo ha subito un mutamento. E’ divenuta nostalgia, nel senso letterale del termine: in greco "ritorno" si dice nóstos e algos significa "sofferenza". La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Ma è divenuta anche rimpianto, il ricordo nostalgico e dolente di persone o cose perdute, o di occasioni mancate.
Nostalgia e rimpianto colgono molti degli occidentali che qualche mese fa hanno fatto di tutto per tornare in patria, terrorizzati dall’idea di restare intrappolati in un paese del Sud-est asiatico. Probabilmente se ne sono pentiti. Mentre in Occidente i contagi e i morti crescevano, il Sud-est asiatico sembrava essere un’eccezione geografica alla pandemia. E tale è rimasta almeno sino a oggi. I numeri del contagio sono bassissimi (dati della World Health Organisation al 28 giugno). In Thailandia si contano 58 morti. In Birmania, dove si paventava una vera e propria strage, 6. Nessuno in Vietnam, in Cambogia e in Laos (da dove lanciavano disperati appelli le ragazze là arrivate per un “progetto formativo privato”). Ventisei i decessi a Singapore, a fronte di un numero molto alto di contagi.
Per qualcuno sono dati falsi, manipolati da governi autocratici o a democrazia limitata. Può essere, ma chiunque conosca un po’ quei paesi sa perfettamente che se si fosse scatenata l’epidemia sarebbe stato impossibile nasconderla, avrebbe assunto le caratteristiche di un’ecatombe di stampo medievale.
Il vero mistero è il perché il sud-est asiatico sembra essere sfuggito alla pandemia. Le ipotesi sono ancor più numerose delle opinioni dei virologi in Occidente. Per alcuni è un fattore climatico. Per altri generazionale: le popolazioni locali sono mediamente più giovani. Per altri sociale: regimi a democrazia limitata permettono maggior controllo (si pensi al coprifuoco imposto per mesi in Thailandia). Tanto che si lamentano nuove e più gravi violazioni dei diritti umani e secondo molti osservatori il Covid 19 è una perfetta scusa per rafforzare il potere dei militari. Per altri ancora, culturale: la struttura dei villaggi (in Birmania, ad esempio, i capovillaggio aveva predisposto autonomamente strutture in bambù per accogliere i contagiati), il senso gerarchico, lo stesso confucianesimo (nel caso del Vietnam), il culto degli antenati (e quindi il rispetto degli anziani), sono alla base di una maggior autodisciplina e controllo di cluster limitati. C’è poi l’ipotesi che le precedenti epidemie, specie la Sars abbiano determinato una sorta di esperienza nel trattamento epidemiologico e un'organizzazione ottimale dell'emergenza, come sembra essere il caso del Vietnam /video di presentazione compreso).


In una situazione del genere c'è da chiedersi perché nei paesi dell’area siano ancora in vigore norme molto restrittive. Più che comprensibile il blocco di arrivi dall’estero (che potrebbe protrarsi sino a ottobre o addirittura sino a fine anno), vera e propria nemesi storica: mentre sino a pochi mesi fa il sud-est dell’Asia era luogo d’incubazione di tutti i mali, ora sono i farang, gli stranieri occidentali, a essere visti come untori. Il livello di controlli interni, poi, in Occidente appare a volte al limite del ridicolo. In Thailandia, ad esempio, è fortemente sconsigliato il cantare assieme – cosa che spesso avveniva tra comitive al ristorante – per evitare diffondersi di goccioline di saliva e ancora non hanno ripreso il lavoro "cheer beer", le ragazze che promuovono la vendita di birra e quindi invitano i clienti a restare al tavolo. "Bevete e andate a casa" è invece la nuova direttiva del governo.

Ma i thai, almeno per ora, fanno buon viso a cattivo gioco, coscienti  dei rischio nel caso di diffusione del virus. Tanto più che si sta avvicinando la stagione dei monsoni, la stagione delle piogge (sino a novembre) che è quella in cui normalmente si diffondono i disturbi polmonari e l’influenza.
Ancor più complesse e difficili da definire le conseguenze economiche e geopolitiche del virus. Per molti analisti la crisi del Covid segna decisamente il passaggio di tutto il Sud-est asiatico nella sfera d’influenza cinese (la Health Silk Road è la nuova arma del soft power di Pechino rafforzato da un possibile incremento dei flussi turistici). Per altri potrebbe essere l’avvio di una ridefinizione dell’Asean (magari con un recovery fund locale). Altri ancora temono una sorta di asservimento a Pechino che chiederebbe maggiori concessioni (ad esempio nelle dispute sul Mar della Cina Meridionale).
Tra tutte queste questioni spicca il disinteresse occidentale nei confronti dell’area. E stupisce ancor più il fatto che le “anomalie” nella diffusione del Covid-19 in Sud-est asiatico non sembrano essere oggetto di ricerche approfondite.
Ma forse a breve potrebbero arrivare buone notizie per tutti proprio da quell’area, da Singapore.