Confutare la religione populista della disuguaglianza economica, venuta a noia pure ai democratici
New York. Poche religioni secolarizzate attirano giovani fedeli come quella della disuguaglianza economica, percepita e venduta come discendente diretta della disuguaglianza antropologica. Se si sovrappongono i piani, manovra spericolata, si può facilmente dedurre che il divario dello stipendio è moralmente equiparabile a una discriminazione, inaccettabile negazione della prima fra le verità autoevidenti enunciate nella dichiarazione d’indipendenza americana. Su questa calcolata sovrapposizione il candidato socialista-populista Bernie Sanders ha costruito una campagna elettorale che è di successo a prescindere dall’esito finale. Il successo consiste nella capacità di influenzare il pensiero democratico mainstream, tanto che pure a Hillary Clinton, che viene dalla famiglia che è stato il simbolo dei democratici pro crescita, tocca genuflettersi di fronte all’altare della disuguaglianza economica. Non c’è ossessione diffusa quanto quella per la sperequazione nell’America che teme di vedere scomparire un pezzo del suo mito fondativo, la middle class. Il filosofo Harry Frankfurt, noto fra le altre cose per il raffinato saggio “On Bullshit”, ha scritto un pamphlet sulla disuguaglianza (titolo: “On Inequality”) in cui spiega che la storia della disuguaglianza economica è, in sostanza, bullshit. “E’ ingannevole sostenere l’uguaglianza economica come un autentico ideale morale”, scrive Frankfurt, e gli eventuali imperativi “non hanno nulla a che fare con la quantità di denaro che gli altri hanno”. Quello abitato da ricchi e da meno ricchi non è un mondo ingiusto poiché disuguale, è un mondo libero, e “avere meno di altri non implica una colpa morale da parte degli altri”. Si può invece, dice Frankfurt, costruire un imperativo categorico sulla “dottrina della sufficienza”: il punto non è che tutti abbiano lo stesso, ma che ciascuno abbia “abbastanza”. Sanders, Bill de Blasio, Elizabeth Warren e compagnia stiglitziana non si battono perché gli ultimi abbiano “abbastanza”, ma per la riduzione del divario, frutto di un’idea di giustizia sociale ed economica presentata come giustizia tout court. Certo, in nome di residuali tesi marxiste suggeriscono che i poveri non raggiungono “l’abbastanza” perché i ricchi hanno troppo, ma intanto tutte le strategie di marketing politico sono costruite sulla distruzione dell’idolo polemico della “inequality”, non sulla lotta alla povertà. Sanders passa molto più tempo a prendersela con i ricchi che a spiegare come elevare gli ultimi, e i suoi argomenti ridistributivi fanno leva sulla pulsione morale per l’uguaglianza antropologica. E la disuguaglianza – come racconta James Pethokoukis su The Week – è diventata un’ossessione populista a tal punto pervasiva nel dibattito che qualche democratico inizia a pensare che sarà la pietra sepolcrale della campagna elettorale.
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