Trump da maiale comune a capobranco criminale. Il dibattito pol. corr. sul “grab by the pussy”
New York. “Grab them by the pussy”. L’espressione di Donald Trump ha scatenato un alluvione di commenti sdegnati, ma anche considerazioni interlocutorie di tipo anatomico e dispute semantiche. Ma che cosa s’intenda, esattamente, con “grab by the pussy” non è del tutto chiaro. La risposta, nelle sue implicazioni criminali, merita una piccola indagine. Dopo il video famoso, Trump è stato collocato immediatamente nella hall of fame degli erotomani e dei calpestatori della dignità femminile, ma il “grab them by the pussy” ha fatto alzare la bandierina rossa del “sexual assault”, lo stupro. Il semplice maiale maschio s’è trasformato in lupo predatore.
Questa accusa va messa nel contesto del dibattito che da anni va avanti attorno alla definizione del consenso nei rapporti e dunque alla sanzione degli abusi. A parte i casi di esplicita sopraffazione esercitata con la violenza, l’abuso sessuale è spesso difficile da provare. Accade nelle zone d’ombra del consenso e della manipolazione, alcuni dei suoi tratti sono sempre negabili e quasi sempre accadono in perfetta assenza di testimoni imparziali. Per questo, alcune università hanno abbracciato, per le indagini interne, il paradigma della “preponderanza delle prove”, opposto a quello dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio” che vige nella giurisprudenza americana. Provare un abuso al di là di ogni ragionevole dubbio può essere così complicato che le commissioni d’indagine dei campus lo considerano un torto nei confronti delle vittime.
Sotto la spinta dei movimenti femministi, alcuni stati hanno approvato leggi sul cosiddetto “yes means yes”, lo standard che regola il consenso: l’uomo che flirta con una donna deve ottenere un “sì” esplicito per baciarla e per andare al dunque. Presumibilmente anche per “grab by the pussy”. L’America si è spaccata in due su questo dibattito. Da una parte i liberal che invocano ulteriori strumenti difensivi per le donne, dall’altra i conservatori che criticano le forme di vittimizzazione e l’ipersensibilità politicamente corretta dell’accademia, dove non si può dire pressoché nulla senza offendere qualcuno.
Fra i giornali conservatori in prima linea contro la criminalizzazione preventiva del maschio c’è il Weekly Standard, ed è curioso che dopo la pubblicazione del video di Trump un cronista del settimanale neoconservatore e anti Trump abbia chiesto al senatore Jeff Sessions – sostenitore di Trump ed ex procuratore generale dell’Alabama – un parere legale sulla cosa. E’ stupro? E’ “sexual assault”? Lui ha risposto: “Non lo caratterizzo come tale. Penso sia un’esagerazione”. Di fronte all’insistenza del giornalista ha detto che “non è chiaro come questo avvenga”. Sta parlando di un’aggressione sessuale? Non si sa. Sessions, insomma, ha spiegato che dipende dal contesto, dalle circostanze e soprattutto dal consenso, non si può dire a priori, e ancora meno si può dire di un fatto che è accaduto solo a parole. Ha detto cioè la stessa cosa che il Weekly Standard diceva prima di avere una motivazione politica per dire il contrario. Pur di vincere la battaglia contro Trump ha accettato di perdere la guerra con il politicamente corretto.
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