La guerra fra Hillary e l'Fbi è una distrazione: la forza che muove il plot è nelle mutande di Weiner

New York. Poi è finita che ci siamo tutti quanti persi, comprensibilmente, sull’inaudita battaglia fra Hillary Clinton e il capo dell’Fbi, James Comey, con le italianeggianti accuse di politicizzazione degli inquirenti, il gioco ambiguo del dipartimento di giustizia, senatori che si dicono certi che l’Fbi – l’Fbi! – abbia prove certe che Donald Trump è un burattino di Vladimir Putin, ma non le tiri fuori perché al bureau c’è un’aria di pregiudizio anticlintoniano. Concentrandoci su queste faccende serissime e dirimenti abbiamo perso di vista i dettagli di contorno, quelli che non decidono nulla ma spiegano tutto. Il luogo e il modo in cui sono state scoperte queste nuove email “pertinenti” di Hillary è oltre l’immaginazione di una serie televisiva. Gli agenti sono inciampati nei messaggi mentre indagavano su Anthony Weiner, ex deputato democratico già caduto in disgrazia a varie riprese e a varie riprese riabilitato per storie di selfie alle parti intime inviati a internaute sconosciute.

 

L’ultima volta, però, coperto dal nomignolo Carlos Danger ha intrattenuto relazioni con una minorenne, cosa che fa scivolare tutta la faccenda dal grottesco al penale. Com’è noto, Weiner è il marito di Huma Abedin, che nel grande plot che domina il mondo di Hillary fa la parte della figlia, e come molti sospettavano già da tempo non è l’eminenza grigia della candidata ma il suo surrogato affettivo, è il capo della sua “squad”, come quella di Taylor Swift. All’ennesima storia sordida di sexting, Huma ha esaurito le cartucce del perdono, annunciando il divorzio. E’ molto probabile che nemmeno quest’ultima “october suprise” faccia naufragare la solida candidatura di Hillary, ma il punto è un altro: abbiamo creduto che i guai di “crooked” Hillary sarebbero venuti da una quesitone sistemica, dal peso eccessivo di una macchina globale del potere, i guai dovevano arrivare dai fondi del Qatar e dall’animosità di Putin, dai discorsi ai banchieri di Wall Street, dai compromessi indicibili, dalle triangolazioni e dalle fondazioni, dai piedi tenuti in così tante scarpe che nemmeno l’armadio di Huma può competere.

 

Se rimarrà schiacciata, si pensava, lo sarà per via del peso insostenibile del suo cognome e di tutto quello che comporta. E invece no: il guaio più grosso della campagna è venuto dalle parti basse di un uomo che non si sa controllare. Poi subito è diventata una faccenda di inquirenti politicizzati e vesti stracciate per lo stupro della democrazia, ma la forza che muove la narrazione è quella del sesso, che com’è noto è l’unica cosa al mondo che non ha a che fare con il sesso stesso, ma con il potere. Sono elezioni del cazzo. E il genere, piuttosto basilare, è noto in casa Clinton.

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