La rivolta degli “elettori morali” è la trovata antidemocratica della piazza che difende la democrazia
Una petizione che ha raccolto quasi cinque milioni di firme e tanto sostegno delle celebrities invita i grandi elettori a disobbedire per fermare Donald Trump, presidente “unfit”
Una petizione che ha raccolto quasi cinque milioni di firme e tanto sostegno delle celebrities invita i grandi elettori a disobbedire per fermare Donald Trump, presidente “unfit”
New York. Lady Gaga e altre personalità del genere “not my president” stanno inventando nuovi modi per protestare contro la democrazia alla quale tuttavia si appellano. Ora tutta la pressione della piazza costellata di stelle è sui grandi elettori, che non sono soltanto numeri che compaiono sugli stati quella notte in cui, ogni quattro anni, il mondo si popola di esperti del sistema elettorale americano, ma sono persone con nome, cognome, libera coscienza e volontà. Il 19 dicembre i 538 elettori si riuniscono per votare il presidente, il quale deve raccogliere almeno 270 voti per essere formalmente eletto. Ma non era già stato eletto? Sì e no. Tecnicamente si tratta di un’elezione indiretta, anzi di cinquanta elezioni indirette, dove gli elettori danno mandato ai loro fratelli maggiori – i grandi elettori – di intraprendere il periglioso viaggio attraverso la wilderness americana fino a Washington per comunicare in forma ufficiale agli organi federali preposti la scelta dei loro concittadini.
I grandi elettori non sono altro che ambasciatori della volontà popolare locale presso il governo centrale. Succede che i grandi elettori di quindici stati non sono tenuti per legge a votare il candidato che ha preso più voti nello stato, mentre quelli di tutti gli altri hanno un vincolo formale, sebbene la violazione comporti una multa piuttosto lieve. L’elettore che abbandona il dettato del popolo diventa “faithless”, come si dice, non finisce in galera ma viola il sacro vincolo della fiducia, cosa inaccettabile nel paese del puritanesimo e della religione civile. Una petizione che ha raccolto quasi cinque milioni di firme e tanto sostegno delle celebrities invita i grandi elettori a disobbedire per fermare Donald Trump, presidente “unfit” e pericolo per la democrazia, e fra i personaggi prescelti per votare circolano voci di pentimento, rimorso e resipiscenza.
Un gruppo di sandersiani dello stato di Washington vuole ribellarsi al voto per Hillary e contestualmente convincere i repubblicani a votare, incredibilmente, per Mitt Romney. Altri repubblicani hanno segnalato il loro disagio nel votare Trump, parlano di una metamorfosi in “elettori morali” che agiscono sotto la guida degli angeli della coscienza civile invece che dei demoni del popolo. La leva vantaggiosa che credono di poter sfruttare è la solita: lei ha vinto il voto popolare. Che la stessa democrazia abbia scelto di determinare il presidente con il collegio elettorale appare come un fatto irrilevante per Lady Gaga e compagni, i quali si appellano ai precedenti, senza rendersi conto che peggiorano soltanto la loro posizione. I grandi elettori che storicamente hanno disobbedito nel segreto dell’urna hanno preso decisioni che oscillano fra l’inutile e il ridicolo. La coscienziosa libertà del grande elettore, ad esempio, ha portato uno di loro nel 2004 a votare per John Edwards sia come presidente sia come vicepresidente.
Un vero colpo di genio. L’unica volta in cui la rivolta dei grandi elettori ha prodotto qualche risultato è stato nel 1836, quando 23 elettori della Virginia si sono rifiutati di notificare il voto in favore di Martin Van Buren e hanno dato le loro preferenze a Jefferson. Come da Costituzione, a dirimere la controversia è stata la Camera, e i rappresentanti del popolo chi hanno eletto? Van Buren. Così come eleggerebbero Trump se anche questa improbabile rivolta dei grandi elettori andasse in porto. Ma c’è una contraddizione ulteriore nel ragionamento del popolo “not my president”. Chi, infatti, elegge i grandi elettori? Il popolo. I loro nomi vengono selezionati dal partito locale, ma poi vengono votati dall’elettorato nell’Election Day. Non è una falange di nominati, ma il suo contrario esatto: il collegio un gruppo di cittadini scelti attraverso un processo democratico più trasparente che mai.
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