Donald Trump (foto LaPresse)

Come resistere al biondo "it"

Ad Harvard c'è un corso di Resistenza per respingere ogni fobia incarnata dall'uomo che non si nomina mai 

New York. Dopo i mesi della protesta inorganica e della terapia destrutturata, la resistenza ha finalmente assunto una forma coerente, riconoscibile e accademicamente rilevante. Ora è pronta a diventare Resistenza. Harvard ha finalmente lanciato la Resistence School, un corso di resistenza in cui autorevoli accademici spiegano con strumenti storico-politico-filosofici come resistere, quanto resistere e soprattutto a che cosa resistere. L’oggetto della resistenza dovrebbe essere ovvio. E’ l’uomo che la giovane Jasmine, studentessa del nucleo primario della resistenza, evita di nominare nella sua introduzione al corso, limitandosi a raccontare di quella notte in cui lei e i suoi amici si sono scollati dal divano alle quattro di mattina e sono andati a casa, nel tentativo di dormire almeno un paio d’ore. Ma (modalità enfasi: on) non ce l’hanno fatta. Si sono rigirati nel letto. Una volta ancora. Prima su un fianco. Poi sull’altro. Supini. Proni. Attoniti per via del nunzio elettorale. All’alba del 9 novembre 2016 erano “semplicemente devastati”. Lasciati soli con un “sentimento quasi esistenziale di tristezza” (modalità enfasi: off). Si scopre però che la cosa a cui resistere non è così scontata. Non è tanto “lui”, quanto un più vasto “attacco al cuore dei valori progressisti” di cui il biondo figuro che manda portaerei in Australia invece che in Corea è soltanto una figura passeggera. Quella mattina di devastazione Jasmine e i resistenti credevano di essersi svegliati con un pessimo presidente alla Casa Bianca, invece avevano di fronte “it”, l’indefinita cosa che assume le forme delle peggiori fobie degli innocenti. Poi si sa com’è andata. L’assistenza psicologica d’emergenza fornita nei campus, gli incontri settimanali, l’invito dei rettori a parlarne in classe, nei collegi docenti, in orario di ricevimento oppure bevendo frappuccino nella caffetteria dell’atrio. La Scuola di Resistenza è l’approdo naturale.

 

Intersectionality e allyship

“Ora questo paese sarà trasformato, però non sarà trasformato da un atto divino, ma da me e te. In questo spirito, il nostro obiettivo è quello di trasformare le braci dello scoraggiamento e della disperazione nei fuochi scoppiettanti di parole coraggiose e azioni coraggiose”, ha detto Jasmine. La prima sessione è stata affidata a Timothy McCarthy, “professore queer di mezz’età” che tiene un frequentatissimo corso sulle “arti della comunicazione”. Con le sneakers rosse e un tono più da sodale che da autorità, anche McCarthy ha evitato di dare un nome al nemico, limitandosi a usare i pronomi maschili che lui predilige – dalle parti di Harvard preferiscono il vocabolario genderless – oppure riducendolo a un numero, 45, il quarantacinquesimo presidente. Nessun problema invece per le qualifiche. Lo ha identificato come un “diavolo” che combatte contro “i migliori angeli della nostra natura”, secondo la famosa espressione di Abraham Lincoln, per poi definirlo “sessista”, “razzista” e “ingordo”. La Resistance School racchiude tutti i grandi temi e le battaglie delle università americane contemporanee, luoghi dove la libertà di parola ha lasciato il posto alla conformità di pensiero, il free speech è diventato hate speech, il disinvito di ospiti è un diritto che prevale su quello dell’invito, nomi, titoli, libri di testo e perfino costumi di Halloween vengono modificati o censurati per non offendere la sensibilità degli studenti. Il paradosso è che alla crescita della delicatezza degli studenti corrisponde un aumento degli episodi di violenza nelle università. Si parte con un manipolo di ragazzi esistenzialmente offesi da uno speaker conservatore, si finisce con le transenne e i lacrimgeni. La Scuola di Resistenza parla di privilegio bianco, di “safe space”, di “intersectionality”, di colonialismo e perfino di “allyship”, nuovissimo meccanismo degli studenti bianchi e privilegiati che consiste nel decostruire la loro condizione per creare una vera empatia con le minoranze oppresse. Su queste invincibili premesse si costruirà la resistenza al diavolo innominato.

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