Liberarsi dalla droga dello smartphone per diventare adulti (senza diventare luddisti)
La battaglia (vinta) di Leonid Bershidsky con la dipendenza da telefonino grazie alla moderazione, quella che per gli antichi era la virtù suprema e oggi è sinonimo di mediocrità
New York. Seguendo le orme di Jean Cocteau, Leonid Bershidsky ha vinto la sua battaglia non con la dipendenza dall’oppio ma con quella da smartphone, patologia ormai ampiamente nota e descritta in modo magistrale in “Irresistible”, un libro di Adam Alter che è praticamente una cartella clinica dell’uomo contemporaneo. Bershidsky ha 45 anni, è opinionista di Bloomberg View e ha fondato un paio di giornali online di lingua russa. Significa che il suo profilo anagrafico non corrisponde a quello del nativo digitale che dai tempi dell’allattamento è abituato a vedere uno schermo sullo sfondo mentre si occupa dell’unica attività che conta. Ma è ugualmente finito nel gorgo della dipendenza. Il lavoro gli ha offerto la giustificazione perfetta per instaurare un rapporto morboso con il suo device, che toccava 2.500 volte al giorno, talvolta di sua iniziativa ma molto più spesso richiamato dalle notifiche delle 112 app che aveva installato. Se questi numeri vi sembrano normali, parte della vita, forse è ora che vi facciate qualche domanda. “Mi dicevo che avere un account su ogni social network era necessario per il mio lavoro, ma era assurdo: la maggior parte dei post e dei video che vedevo erano completamente inutili al mio lavoro di giornalista”, ha scritto Bershidsky , rivelando l’aspetto più scandaloso e indicibile della faccenda, quello che smaschera le scuse della sterminata classe di professionisti che dice “lo devo fare per lavoro”.
Bershidsky non è un estremista, non ha scelto la via dell’eremitaggio e dell’astinenza, il suo metodo di disintossicazione non in stile “into the wild”, non vuole tornare all’età della pietra e nemmeno a quella dello starTac, continua a vivere e lavorare usando gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Ma con moderazione, quella che per gli antichi era la virtù suprema e oggi è sinonimo di mediocrità. L’esperienza di Bershidsky mostra che per gli aggiornamenti necessari per il lavoro basta mezz’ora al giorno di Twitter, che si vive un’ottima vita professionale soltanto controllando le mail e un paio di app quando lo vuole il padrone dello smartphone. Far attendere un po’ di più del normale chi gli scrive non è un grave problema, anzi, Bershidsky arriva a dire che sopportare l’attesa di una risposta è una caratteristica propria della persona adulta, mentre il mondo degli adolescenti “sovrastima il bisogno di immediatezza nella comunicazione”. Bershidsky ha vinto la sua battaglia per la conquista dell’età adulta, non per l’affermazione di un’idea luddista.
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