Cynthia Nixon (foto LaPresse)

Cynthia Nixon è una “unqualified lesbian” progressista sulle orme del modello trumpiano

L'attrice di “Sex & The City” sfida Cuomo come governatore di New York e si butta in politica per restaurare la democrazia usurpata

C’è una celebrity televisiva che si è costruita la carriera su una serie che ruota attorno al sempreverde tema del sesso e che ora ha annunciato la sua candidatura per restaurare la democrazia usurpata. Dice che “è arrivato il tempo degli outsider”, che i rappresentanti del partito di governo sono fasulli figuranti, ingranaggi di un establishment che si è arricchito sulla pelle del popolo, il verbo che usa più spesso è “fight”, lottare, stringatissima sintesi del suo programma di governo.

 

Sì, Cynthia Nixon ricorda qualcuno, nella fattispecie il suo arcinemico che per una disgraziata coincidenza è stato anche quello che con le sue piccole mani le ha consegnato sul palco il primo Emmy. Era una normale occorrenza fra celebrità: il mattatore di The Apprentice premiava una delle protagoniste di Sex and the City, ed era inevitabile che nel giorno in cui ha annunciato la sua candidatura alla guida dello stato di New York, correndo su un programma indecifrabile ma pieno di parole d’ordine ultraprogressiste, le imbarazzanti fotografie della strana coppia sul palco siano state rimesse in circolo nella cloaca social.

     

Il fatto è che Trump e Nixon hanno molto in comune, e quello del cognome è un puro caso di omonimia. Entrambi sono volti televisivi famosi che nel corso della carriera hanno esternato in modo incerto e contraddittorio idee politiche di varia natura, ma non hanno amministrato o gestito nulla se non l’immagine, il brand personale, le attività commerciali di famiglia; entrambi si propongono come difensori del popolo vessato da un “american carnage” da attribuire all’immigrazione sbrigliata e ai processi iniqui della globalizzazione oppure da schiacciato dalle disuguaglianze da attribuire a Wall Street, alle multinazionali, all’élite; entrambi detestano i partiti tradizionali e i politici che parlano e non agiscono; entrambi sfidano la leaderhip della propria compagine, dalla quale si sentono traditi; entrambi non sono stati presi sul serio all’inizio della loro avventura politica.     

Quando Trump è stato eletto, qualcuno ha visto emergere un nuovo modello di leadership, quello della celebrity prestata alla politica che capitalizza il piazzamento del proprio brand per passare messaggi elettorali non convenzionali. “Nel 2018 ciascuno di noi deve fare tutto ciò che può per riprendersi la democrazia minacciata dall’intero e da poteri esterni”, ha detto Nixon durante il lancio della sua sfida al governatore democratico Andrew Cuomo, che corre per il terzo mandato al governo di Albany. Nemmeno la sua professione di fede progressista e il suo attivismo lgbt – lei che è bisessuale e ha due figli da un matrimonio con un uomo e uno dal matrimonio con una donna – l’hanno salvata dalla definizione di “unqualified lesbian” sibiliata da Christine Quinn, già fallimentare candidata alla guida della città di New York che si propne invece come “qualified lesbian”.

    

Delle celebrità americane che si buttano in politica per noia o vanità parla anche Tocqueville, non è una breaking news dell’ultimo minuto, ma la notizia è che dopo Trump tutte le celebrity che vogliono andare in quella direzione devono, volenti o nolenti, seguire il suo piano d’azione.