Gorsuch scaccia il suo meme (but Gorsuch!) e si libera del fardello di Trump
Il giudice della Corte Suprema vota con i liberal in un caso sull’espulsione degli immigrati illegali che commettono un crimine. Così delude i tifosi e cancella i pregiudizi degli avversari
Uno dei meme cari ai conservatori disgustati da Donald Trump eppure convinti che rimanere fedeli al Partito repubblicano sia meglio delle alternative è: “But Gorsuch!”. Lo svolgersi dell’argomentazione è chiaro: Trump è una disgrazia, anzi una disgrazia imprevedibile e senza bussola, non è un conservatore in nessun senso si possa dare alla parola, è moralmente insostenibile ed esteticamente inguardabile, ma ha nominato alla corte suprema Neil Gorsuch, un giudice di purissima razza conservatrice che terrà duro sulle fondamentali questioni etiche e culturali che la massima corte si trova a dirimere. Questo ci basta.
"But Gorsuch" stress balls give relief to distraught lawyers at Federalist Society conference https://t.co/Fjo8hI2wfv pic.twitter.com/QAmEvgr4Xw
— Washington Examiner (@dcexaminer) 18 novembre 2017
Questa tipologia di elettore riluttante di Trump, particolarmente rappresentata fra gli evangelici, ha passato l’ultimo anno e rotti a rispondere “but Gorsuch!” a tutte le obiezioni sulla condotta talvolta imperscrutabile, talvolta inaccettabile dell’Arancione. In modo analogo, ma rovesciato, gli avversari di Trump hanno presentato Gorsuch come un fanatico baciapile che avrebbe fatto di tutto per riportare l’America al medioevo, ma soprattutto avrebbe giurato la sua fedeltà incondizionata al presidente, condizione che il presidente è uso imporre a tutti i servitori dello stato che gli capitano a tiro. Gorsuch è stato rappresentato come una marionetta di Trump dotata giusto di qualche riga decente nel curriculum per darsi una verniciata di autorevolezza.
Il Partito democratico mandava mail fuorvianti in cui sosteneva che Gorsuch aveva approvato una norma che consente di ridisegnare i distretti elettorali secondo criteri razzisti, e tutto l’universo progressista ha compilato listicles sui disastri che questo fanatico religioso avrebbe fatto al paese su questioni fondamentali: il diritto di voto, la discriminazione verso gli omosessuali, il potere dei sindacati, l’accesso ai contraccettivi e all’aborto, i diritti dei transessuali, il “muslim ban”, il trattamento dei clandestini e chissà cosa ancora.
Votando assieme ai liberal in un caso sull’espulsione degli immigrati illegali che commettono un crimine, Gorsuch ha cancellato in un colpo solo sia il meme dei tifosi sia i pregiudizi degli avversari. E soprattutto ha dimostrato di non essere affatto un pupazzo nelle mani dell’Amministrazione. La Corte ha dichiarato invalido un decreto del governo che viene usato molto spesso per giustificare il rimpatrio di clandestini che vengono arrestati per aver commesso un “crimine violento” o qualunque tipo di infrazione “che comporti, per sua natura, il rischio del riscorso alla forza fisica”; si tratta di un regolamento che fornisce ampia libertà alle forze dell’ordine di trasformare in realtà ciò che Trump ha promesso in campagna elettorale in tema di rimpatri ed espulsioni.
I quattro giudici liberal, Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Sonia Sotomayor e Elena Kagan hanno votato per l’abrogazione del dispositivo, e a sorpresa Gorsuch si è unito a loro, snocciolando però alcuni motivazioni aggiuntive in un’opinione separata. L’obiezione fondamentale di Gorsuch è che lo statuto a cui si fa riferimento “è troppo vago per essere applicato”, perché non chiarisce le fattispecie criminali contemplate, non dà garanzie specifiche alle vittime del rimpatrio, apre le porte ad azioni investigative e punitive “capricciose”, non offre un quadro certo della legge e dunque lascia quella coltre di nebbia discrezionale che è nemica giurata degli originalisti come lui, allievo di Antonin Scalia che ha mostrato di applicare con rigore il principio del ritorno allo spirito originale della legge. Credevano di avere di fronte un luogotenente di Trump, e invece era un semplice seguace della legge.
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