Così il giudice che ha bloccato il decreto sui dreamers mostra il dramma di Trump
L’Amministrazione Usa ha dichiarato illegale un dispositivo del suo predecessore, ma nelle motivazioni non è stata in grado di spiegare perché
Un giudice federale del District of Columbia ha stabilito che la decisione dell’Amministrazione Trump di annullare il Daca – il dispositivo obamiano che tutelava i dreamers, i clandestini entrati in America quand’erano minorenni – non è valida, una sconfitta cocente per un presidente che ha fatto di immigrazione e sicurezza al confine due pilastri del suo traballante edificio politico.
Il giudice ha concesso al dipartimento di Sicurezza nazionale novanta giorni per spiegare meglio la sua posizione, ed eventualmente controbattere, dopodiché non soltanto il Daca dovrà essere ripristinato, ma il governo dovrà accettare anche nuove domande dei dreamers. Altri due tribunali, uno a Brooklyn e uno a San Francisco, avevano bloccato la decisione trumpiana sul Daca, ma nessuno finora ha seguito la strada scelta dal giudice John Bates per giustificare l’illegittimità del decreto: si tratta, ha scritto, di una decisione “arbitraria e capricciosa, perché il dipartimento della Sicurezza nazionale non è stato in grado di spiegare adeguatamente la sua conclusione, secondo cui il decreto era illegale”. Ovvero: l’Amministrazione Trump ha dichiarato illegale un decreto del suo predecessore, ma nelle motivazioni non è stata in grado di spiegare perché.
L’approssimazione e la vaghezza sono le falle ravvisate da una sentenza che non entra nel merito delle ragioni umanitarie addotte da molti sostenitori del Daca né in quelle di sicurezza che affollano i ragionamenti dei sostenitori della Casa Cianca. Dichiarare una cosa senza saperne spiegare la motivazione potrebbe essere la sintesi del trumpismo, filosofia incerta e zoppicante che salta da una soluzione temporanea all’altra.
Bates è un giudice nominato da George W. Bush, e nella sua opinione si nota l’insistenza sul fatto che norme e decreti devono essere precisi e motivati meticolosamente, ché la vaghezza è l’anticamera dell’arbitrarietà e della strumentalizzazione politica. E’ un concetto della filosofia originalista che ha anche ribadito il giudice Neil Gorsuch, nominato da Trump, quando la Corte suprema ha dichiarato invalido un meccanismo di rimpatrio dei clandestini che avevano commesso un crimine. Si è detto che Gorsuch si è schierato con i liberal, ma si è trattato di una convergenza accidentale lungo la strada che porta a eliminare la vaghezza degli statuti.
Alla luce di quella sentenza, gli osservatori della corte (e della Casa Bianca) si domandano come si comporterà Gorsuch, già idolatrato come bastione della resistenza all’invasione liberal su temi etici e affini, nel caso sul travel ban che la Corte ha preso in esame. La sentenza sul Daca va in una direzione simile. A febbraio la Corte suprema aveva respinto la richiesta della Casa Bianca, invero piuttosto insolita, di decidere istantaneamente se l’Amministrazione avesse il diritto di porre fine al programma di protezione dei dreamers, e ora un giudice sostiene che la confusione giuridica in cui questo governo nuota rende impossibile giustificare il decreto. Il dipartimento di Giustizia ha tenuto il punto, spiegando che “continuerà a difendere con vigore la legittimità della decisione” e che il governo ha “agito all’interno dei limiti della propria autorità”. Ma il giudice del distretto della capitale non solo sostiene che la decisione è illegittima, ma suggerisce anche che il governo non ha gli strumenti per spiegare in modo lineare e convincente le motivazioni che adduce. Che poi è l’essenza del dramma di Trump: non saper spiegare perché.
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