Foto di Dinesh Cyanam from Ann Arbor, United States

I rituali della Silicon Valley

Il bisogno di riti catartici è così disperato che certi designer ne creano di personalizzati

Perfino nella mitra papale di Rihanna, più noiosa che dissacrante, si può intravvedere il disperato bisogno di rituali che domina anche la società secolarizzata. Gli struggimenti liturgici, ancorché grotteschi, del Met Gala sono una prova indiretta dell’immutata, e anzi forse crescente, fascinazione per il sacro. Ovunque ci si volta si trovano testimonianze del bisogno di rituali. I millennial hanno, fra le altre cose, rivitalizzato il Wicca, riscoperto la stregoneria, riportato in auge l’occulto e rilanciato il mondo delle pulsioni esoteriche al grido di “spirituale ma non religioso!”, si sono dedicati con passione a quello che il sociologo Christian Smith chiama “deismo moralista-terapeutico”, ma hanno pure ridato qualche presenza ai seminari e agli ordini inclini al rito antico e in generale al rigore liturgico. C’è chi, come Ross Douthat, legge la capacità di attrazione pubblica di Papa Francesco come prova del fatto che l’occidente non è del tutto post-cristiano e il mondo non è del tutto post-religioso: certi messaggi esercitano ancora un potere comunicativo non trascurabile. Tutto questo ritualizzare può essere facilmente trasvalutato nel contesto apparentemente irreligioso delle società occidentali odierne. La vita americana, che è a un tempo la più religiosa e la più secolarizzata, è scandita con feroce rigore da rituali sociali ineludibili: ogni circostanza ha la propria celebrazione specifica, ogni stagione ha i suoi simboli, ogni festa ha parole d’ordine e colonna sonora standard, non è previsto lo spazio per eccezioni locali o famigliari. E infatti si moltiplicano le circostanze in cui emerge il bisogno di un rituale ma non esiste una liturgia codificata.

   

Il desiderio di una comunità rituale e l’esasperato culto dell’individuo si sono incontrati nel Ritual Design Lab, un’opera della Silicon Valley in cui un centinaio di designer interattivi inventano rituali adeguati alla vita dell’evo contemporaneo e customizzano l’esperienza liturgica. Il cliente-questuante presenta all’altare della tecnologia la domanda che necessità di un rituale – esempio: come posso celebrare la morte del mio portatile? – e il gruppo guidato da Kursat Ozenc e Margaret Hagan, che insegnano all’Institute of Design di Stanford, fa girare cervello e algoritmi per fornire una risposta. Il claim non potrebbe essere più accattivante: “Tu ci dici il tuo problema, noi ti costruiamo un rituale”. Una app elabora le informazioni sulla circostanza da ritualizzare, e non c’è limite all’immaginazione, e fornisce idee per una catarsi. Naturalmente la massa di informazioni che questo scambio produce viene rovesciata in un database dalla cui analisi si possono dedurre nuovi rituali, e più si prende dimestichezza con lo strumento più i clienti saranno in grado di congegnare da soli i rituali di cui sentono di avere bisogno. Gli ideatori del Ritual Design Lab hanno individuato alcune caratteristiche di massima del rituale: dev’essere innanzitutto breve, ché non c’è tempo per elaborazioni troppo complesse, specialmente quando il tenore delle richieste è: “Come posso riprendermi dalla multa per un divieto di sosta?”; poi il rituale dev’essere divertente, giocoso, magari anche un po’ demente. Quello per la multa prevede infatti di saltarla in padella e mangiarla. Se sembrano follie idiote è soltanto perché il bisogno di rituali per vivere è sulle soglie della disperazione.

Di più su questi argomenti: