Lo strano caso di Buckel, martire dell'ambientalismo
Il paladino della guerra agli idrocarburi, che si è dato fuoco mentre nessuno guardava
Il 14 aprile David Buckel è uscito dalla sua casa di Prospect Park, a Brooklyn, che faceva ancora buio. Ha mandato una mail per avvertire i colleghi, al sito di compostaggio di Red Hook di cui era fondatore e proprietario, che quel sabato non si sarebbe presentato al lavoro, come accadeva regolarmente ogni sabato, e si è addentrato nel parco sotto casa. Lì ha scelto un posto non particolarmente visibile, un pezzo di prato qualsiasi accanto a uno dei tanti sentieri che solcano il grande parco, e poco dopo le sei di mattina si è cosparso di benzina e si è dato fuoco. La polizia ha trovato il corpo carbonizzato poco più tardi. Il suicidio è per definizione un fatto insondabile e misterioso, ma la natura del gesto e le testimonianze di chi conosceva questo sessantenne che era stato un importante avvocato per i diritti civili hanno fatto propendere più verso un caso di infermità mentale. Qualcosa di oscuro è successo nel profondo della mente e della coscienza di Buckel, persona che tutti descrivono come attentissima agli altri che se n’è andata da questo mondo senza nemmeno un ultimo saluto al marito. Con il passare delle settimane altri elementi si sono però affacciati su questa vicenda, facendo cambiare prospettiva a chi, come Annie Correal del New York Times, si è messa a scavare nella vita e nelle ultime ore dell’uomo. Alla luce della nuova ricostruzione, Buckel potrebbe essere stato il primo a darsi alle fiamme per denunciare i cambiamenti climatici e la distruzione del pianeta da parte dell’uomo. Si è immolato come i monaci buddisti di Saigon, imitati poi dagli attivisti contro la guerra del Vietnam, e la causa per cui lo ha fatto era innanzitutto scritta nel combustibile che ha usato per farla finita.
Poco prima di compiere l’ultimo gesto ha mandato una mail ad alcuni giornalisti che si occupano di ambiente: “La mia morte prematura attraverso il combustibile fossile riflette ciò che stiamo facendo a noi stessi”. Poi ha aggiunto una nota per sensibilizzare i consumatori: “Anche se le soluzioni dipendono in parte dalle leggi, nessun potere può rivaleggiare con quello degli individui che in massa cambiano le loro scelte ogni giorno e riducono i danni che causano”. Buckel, che era omosessuale e aveva cresciuto la figlia, ora ventenne, assieme a una coppia di lesbiche, aveva lavorato fino al 2008 come avvocato a Lambda Legal, organizzazione nazionale che si batte da decenni per i diritti lgbt. In quella posizione aveva ottenuto diverse vittorie rilevanti per l’avanzamento del movimento, specialmente quando era riuscito a dimostrare che uno sceriffo del Nebraska era responsabile per non aver protetto un giovane ucciso per il suo orientamento sessuale. Qualche anno fa, quando ormai la battaglia arcobaleno procedeva senza troppi intoppi verso la vittoria, Buckel ha abbracciato con la stessa passione un’altra causa, quella ambientale. Ha ideato e aperto un sito di compostaggio nel vecchio quartiere portuale di Brooklyn, oggi un covo gentrificato di atelier e locali hipster, e da lì ha preso a cambiare il mondo così come lo aveva cambiato nelle aule di tribunale. Uno dei più grandi impianti di riciclaggio organico di quel genere negli Stati Uniti andava avanti senza macchinari alimentati da combustibile, ma soltanto con l’energia del sole, del vento e il lavoro di volontari. Tutte le giornate di lavoro si concludevano con una frase rivolta ai quelli che lavoravano al suo fianco: “Oggi avete reso il mondo un posto migliore”.
I colleghi dicono che nelle ultime settimane era particolarmente agitato per certe notizie sulle politiche ambientali dell’Amministrazione Trump. In particolare, l’agenzia per la protezione dell’ambiente aveva annunciato la volontà di revocare le restrizioni imposte da Obama sulle emissioni delle automobili. Dicono fosse particolarmente preoccupato per quello che considerava un inaccettabile ritorno verso i combustibili fossili. Nessuno saprà mai cosa gli passava per la testa quella mattina, ma tutti gli indizi dicono che si tratti forse del primo martire della causa ambientalista, che si è dato fuoco non in una piazza o durante una manifestazione ma all’alba nel parco vicino a casa, quando nessuno guardava.
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