Il capo di Cbs sotto accusa fa imbufalire il #metoo
Leslie Moonves, che è ancora al suo posto mentre aspetta i risultati di un’inchiesta interna, si è appellato al principio del “no means no”, vecchio slogan femminista
La conquista del “no” non è che un prodromo dell’affermazione del “sì”, il che non è uLeslie Moonvesna lezione del decostruzionismo francese ma la logica dell’avanguardia femminista che incontra il caso di Leslie Moonves, l’amministratore delegato di Cbs. Venerdì il solito Ronan Farrow, il padre non patriarcale del movimento #metoo, ha pubblicato l’ennesimo articolo-denuncia sul New Yorker per documentare le molestie dell’amministratore delegato della Cbs, storie di baci ottenuti a forza, palpate, intimidazioni, abusi di potere di varie forme e fogge perpetrati per decenni negli uffici del network. Una delle particolarità di questo caso è che la rimozione di Moonves non è avvenuta tempestivamente. Il board di Cbs ha deciso di lasciarlo alla guida della compagnia mentre conduce un’inchiesta interna, e ha posticipato l’incontro con gli azionisti di qualche settimana, per fare chiarezza. Diverse dichiarazioni di solidarietà e sostegno all’amministratore da parte di manager donna, arrivare nel fine settimana, hanno contribuito a determinare un atteggiamento prudente e attendista del consiglio di amministrazione.
Non c’è più il #metoo di una volta: ii tempi d’oro la testa di Moonves sarebbe rotolata nel giro di minuti.
L’altra peculiarità del caso è contenuta nella dichiarazione dell’amministratore delegato, che fra una giustificazione e un diniego ha scritto: “Ho sempre capito, rispettato e ho aderito al principio del ‘no significa no’”. Il riferimento ha mandato in bestia l’intero mondo femminista, contrariato dal fatto che un maschio predatore incredibilmente sopravvissuto – per ora – al trattamento del #metoo usi il motto della vecchia battaglia del movimento anti-stupro, che in teoria dovrebbe esser stato superato dal paradigma del “yes means yes”, la legge del consenso femminile affermativo, continuato, entusiastico, quella legge per cui esistono le app che registrano le dimostrazioni esplicite del consenso lungo tutto l’arco dell’incontro sessuale.
Sull’Atlantic Megan Garber ha scritto una requisitoria durissima contro Moonves, scagliandosi non tanto contro quello che hga fatto ma contro quello che ha detto, un inaccettabile ritorno al tempo in cui il limite delle avance maschili era quello imposto dal rifiuto della donna. Ma potere di dire “no” non è sufficiente, non s’accorda con l’agenda massimalista del #metoo, e il molestatore che lo usa per giustificarsi è uno stupratore che strumentalizza le superate argomentazioni delle attiviste anti-stupro. E il board nemmeno lo caccia. Un certo smacco per le femministe di ultima generazione.
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