Pedonalizzare per favorire la ripresa
Il “rischio calcolato” che si è assunto Draghi con le prime riaperture del 26 aprile ha imposto la possibilità di consumare solo all’esterno dei locali. Tutto ciò però si è scontrato con un problema di spazi. Come fare a spostare le attività di ristorazione all’esterno se questi sono occupati da strade e parcheggi?
Era il 1993 quando Hans Monderman, ingegnere del traffico all’epoca a capo dell’équipe per la sicurezza stradale della Frisia – regioni del nord-est dei Paesi Bassi affacciata sul Mare del Nord –, scrisse alla ministra dei Trasporti olandese Hanja Maij-Weggen suggerendole “un’intervento legislativo volto a incentivare le pedonalizzazioni all’interno dei centri urbani”. A corredo della richiesta inviò i risultati del suo lavoro iniziato nove anni prima. La sua équipe aveva stravolto quelle che sino ad allora, e ancor oggi, erano considerate le regole base della mobilità urbana, ossia la netta divisione degli spazi stradali dedicati alle automobili da quelli dedicati a pedoni e ciclisti, grazie alla segnaletica orizzontale e verticale. Monderman le aveva eliminate creando uno spazio condiviso privo di qualsiasi indicazione, applicando ad alcune città della Frisia quella che lui definiva la sicurezza dell’insicurezza. “Chi ha il diritto di precedenza? Non mi interessa. Le persone che guidano in città devono usare il proprio cervello, aumentare l’attenzione e autoregolarsi. Questa è l’unica via per la sicurezza stradale”. Il lavoro di Monderman in poco più di un lustro aveva diminuito dell’85 per cento gli incidenti stradali, del 94 quelli gravi, del 99 le morti in strada, del 49 la spesa sanitaria non legata alle malattie dei paesi nei quali questo modello era stato applicato. Inoltre, le massicce pedonalizzazioni avevano contribuito a un aumento dei fatturati delle attività economiche delle aree interessate di quasi il 52 per cento e una diminuzione degli atti criminali del 38 per cento. Monderman chiudeva così la lettera alla ministra Maij-Weggen: “Favorire la pedonalizzazione dei centri cittadini porta alla comunità un beneficio economico maggiore di qualsiasi altro intervento possibile. L’aumento degli spazi di convivialità esterni, che si otterrebbero con l’esclusione del passaggio veicolare nelle strade e l’occupazione del suolo pubblico delle automobili, elimina il rischio economico legato a non preventivabili problematiche di fruizione interna dei locali”.
Il “rischio economico legato a non preventivabili problematiche di fruizione interna dei locali” si è palesato in tutta Europa nello scorso marzo con le prime chiusure causate dalla pandemia di Covid-19. Per mesi bar e ristoranti sono stati chiusi, prima a causa del lockdown, poi per l’avvento delle cosiddette “seconda” e “terza” ondata. Il “rischio calcolato” che si è assunto Mario Draghi con le prime riaperture del 26 aprile ha imposto a tutti noi la possibilità di consumare solo all’esterno dei locali. Tutto ciò però si è scontrato con un problema di spazi. Come fare a spostare le attività di ristorazione all’esterno se all’esterno gli spazi sono occupati da strade e parcheggi?
L’architetto Stefano Boeri intervistato da Carmelo Caruso ha detto che “si comincia a ragionare su isole limitate, arcipelago. Era l’idea di Louis Kahn. Le strade possono essere stanze per la comunità. L’auto è sempre più un costo che non si può addebitare alle città”, sottolineando come “sarà il mondo del commercio, quel mondo che storicamente ha sempre frenato la pedonalizzazione, a far nascere la città arcipelago”.
Boeri ha centrato il punto. È proprio il mondo del commercio ora ad accorgersi della miopia che ha guidato le loro scelte in questi anni, quando, più o meno unitamente, si è scagliato contro i tentativi di pedonalizzazione dei centri storici portati avanti da diverse giunte comunali negli ultimi vent’anni in Italia. E questo nonostante diversi studi nei quali si sottolineavano i benefici per il commercio delle zone pedonali, tra i tanti quello del 2016 redatto dalla European Cyclists’ Federation.
Un problema di spazi che si è materializzato il 26 aprile creando una disparità tra le attività economiche nei centri cittadini che sorgono in zone pedonali e quelle che invece si trovano lungo le strade aperte al traffico, tanto che in molte città, Roma e Milano in testa, molti ristoratori hanno chiesto alle amministrazioni cittadine un intervento per allargare gli spazi esterni, proponendo la chiusura al traffico delle strade. A Roma è stato il presidente della Fipe Confcommercio, Sergio Paolantoni, a chiedere di adottare una soluzione simile a quella trovata a New York: “A New York il sindaco ha preso una parte delle strade più grandi, ha transennato e ha creato delle aree pedonali per metterci i tavolini di bar e ristoranti. Si potrebbe fare lo stesso a Roma e, per quanto riguarda il centro storico, dove le vie sono molto piccole e strette, si potrebbero creare delle pedonalizzazioni temporanee: si possono chiudere ad esempio vicolo della Pace o via Frattina, renderle attraversabili soltanto a piedi e consentire così, a bar e ristoranti, che tra l’altro hanno locali spesso piccoli al centro storico, di avere spazi esterni per il servizio al tavolo”.
Nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza il governo Draghi ha posto l’attenzione sulla necessità di una modifica della mobilità urbana e “facilitare e promuovere ulteriormente la crescita del settore ciclistico tramite realizzazione e manutenzione di reti ciclabili in ambito urbano, metropolitano, regionale e nazionale, sia con scopi turistici o ricreativi, sia per favorire gli spostamenti quotidiani e l’intermodalità, garantendo la sicurezza”. Però proprio nel PNRR l’esecutivo ha parlato soltanto di numero di chilometri di piste ciclabili. L’urgenza è un’altra e c’entra poco con i chilometri in programma. Servirebbe una presa di posizione sul tema della mobilità, un segnale forte diretto alle amministrazioni locali per puntare finalmente sull’allargamento delle zone pedonali. Il successo del “rischio ragionato” e la spinta per una ripresa passa anche da qui.
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