Il caso
Lo sciopero dei taxi conferma che in Italia abbiamo paura della concorrenza
I 40mila tassisti italiani chiedono lo stralcio dell’articolo 10 del Ddl concorrenza che prevede una delega al governo affinché faccia ordine in una disciplina ormai superata. "Liberalizzare significa aumentare la competitività di un paese per renderlo più efficiente", ci dice Giuricin
Il 5 e 6 luglio i taxi si fermano per uno sciopero di quarantotto ore. Le 13 sigle che rappresentano in larga parte i 40mila tassisti italiani (solo la Uil se ne è tirata fuori) chiedono lo stralcio dell’articolo 10 del Ddl concorrenza, quello che prevede una delega al governo affinché faccia ordine in una disciplina ormai superata risalente addirittura al 1992. Per la verità, i criteri direttivi della delega sono abbastanza vaghi: si parla genericamente di “adeguamento dell’offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti”, ridurre gli adempimenti amministrativi, promuovere la concorrenza, definire standard nazionali e adeguare il sistema sanzionatorio per contrastare più efficacemente l’abusivismo.
Intervistato dal Foglio Andrea Giuricin, ricercatore presso l'Università Bicocca di Milano, ci dice che in Italia “abbiamo paura della concorrenza. È difficile far passare un Ddl di questo tipo perché anche la politica teme le rivolte di una singola categoria, che siano tassisti o balneari. Eppure, abbiamo esempi vincenti: basta guardare all’alta velocità ferroviaria, liberalizzata nel nostro paese nel 2012 e diventata sinonimo di efficienza. Liberalizzare significa questo: aumentare la competitività di un paese per migliorarlo. Avere paura della concorrenza vuol dire danneggiare la comunità”.
Inoltre, l’articolo 10 non prevede nessuna “liberalizzazione selvaggia” come dicono i tassisti perché, continua Giuricin: “la direttiva non parla di aumento delle licenze o di aprire il mercato. Fondamentalmente i tassisti hanno paura perché hanno pagato la licenza - in un mercato secondario e non regolamentato - migliaia di euro. Ed è quindi comprensibile il malcontento e la protesta, ma i cittadini non possano scontare questa stortura. Lo stato potrebbe intervenire con degli incentivi, un po' quello che succederà con i balneari, per poi liberalizzare il settore”.
Studi internazionali confermano l’arretratezza del nostro paese: il mercato italiano di taxi e Ncc vale lo 0,7 per cento del pil, mentre in Europa mediamente, la cifra è dalle due alle cinque volte maggiore. Basta seguire esempi virtuosi: “Come il Portogallo – dice Giuricin – che ha aperto il mercato anche ad autisti privati che dopo avere sostenuto un corso propongono un determinato servizio di mobilità efficiente e sicuro. Non si andrebbe verso una concorrenza al ribasso, ma verso una concorrenza tra piattaforme. L’introduzione della tecnologia gioverebbe grandemente ai consumatori. Ancora oggi in Italia per trovare un taxi devi chiamare un numero di telefono, come negli anni ottanta. Con la nascita di piattaforme di mobilità l’utente saprebbe quanto deve aspettare, quanto paga e il rating dell’autista, tutte note tecnologiche che aiuterebbero il settore”.
Intanto una frangia di tassisti, dopo la fine del corteo, si è diretta sotto Palazzo Chigi. Molti di loro hanno cominciato a tirare bottigliette d'acqua di plastica in mezzo alla strada. Ci sono stati anche momenti di tensione tra i tassisti e le forze di polizia che li hanno contenuti.