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Come l'urbanistica può salvare le persone dalle auto

Giovanni Battistuzzi

Troppe macchine, troppo veloci, troppi morti. L’urbanista Matteo Dondé spiega come se ne esce (a basso costo). Intervista

Roma. Nelle ultime settimane le cronache di Roma hanno dato notizia di diverse morti sulle strade, quasi una al giorno. Politici e giornali hanno parlato di “emergenza sicurezza stradale”. Sarebbe confortante se fosse così, se si trattasse davvero di un’emergenza, ossia di una circostanza imprevista e accidentale. Non c’è nessuna emergenza a Roma, l’insicurezza stradale è un fatto consolidato e di lungo corso. Nelle strade della Capitale si muore, nelle strade italiane si muore (49 morti ogni milione di abitanti), e non c’entrano strade, buche, alberi killer, non esistono, come non esistono automobili impazzite. Si muore perché gli automobilisti o sono distratti o non rispettano il codice della strada e corrono troppo.

 

“Si governa la mobilità con i dati, non con le opinioni”, dice al Foglio Matteo Dondé, architetto urbanista che da più di vent’anni si occupa di sicurezza stradale e che collabora con diverse amministrazioni comunali per la moderazione del traffico e il miglioramento della mobilità urbana.

 

E i dati dicono che in Italia gli incidenti sono causati dalla distrazione (nel 15,7 per cento dei casi), dal mancato rispetto della precedenza (14,5), dall’elevata velocità (10), e che quest’ultima è concausa nel 50 per cento dei sinistri mortali. Il costo degli incidenti stradali è di almeno 16,4 miliardi di euro, un punto di pil. E poi ci sono i soldi che i comuni devono sborsare per risarcimenti danni: Roma paga più di un milione l’anno solo per il dissesto stradale. Le strade a Roma sono un disastro, ma non è solo l’inefficienza di chi governa la città a determinare tutto ciò: “Una città con meno auto ha bisogno di meno manutenzione stradale, è l’elevato passaggio di autoveicoli che accelera il dissesto delle strade, determinando così un aumento dei costi”, sottolinea Dondé.

 

Uno spreco di risorse pubbliche causato, soprattutto, da un problema culturale, ossia “considerare la strada di proprietà dell’automobile: lo si vede ogni volta che un pedone sulle strisce ringrazia un automobilista per avergli concesso l’attraversamento”.

 

Modificare la viabilità, la mobilità è qualcosa che a Roma, e non solo nella Capitale, è considerato troppo costoso e quindi impossibile. Tutto ciò però non è vero. “Una città la si può cambiare, aumentarne la sicurezza, a basso costo. Basta volerlo. E per farlo serve abbassare la velocità delle automobili e diminuirne il numero. Si può iniziare togliendo il traffico dai quartieri residenziali, trasformare questi quartieri in Zone 30, introducendo sensi unici e strumenti di moderazione del traffico per impedire fisicamente alle auto di andare più veloci. In questo modo si escluderebbe dai quartieri il traffico di attraversamento, tutti i mezzi a motori che cercano lì una via di fuga dalle code sulle strade ad alto scorrimento. Serve diminuire lo spazio per il passaggio delle auto e aumentare quello riservato a pedoni e biciclette”, spiega Dondé.

 

Esempi del genere ci sono in tutta Europa. E funzionano. Le Zone 30 diminuiscono il numero di auto circolanti: “Abbassano la percezione di insicurezza diffusa, che è poi quella che ci spinge a prendere la macchina. Considerando che circa il 50 per cento degli spostamenti che facciamo in città è inferiore ai cinque chilometri, la percezione di una maggiore sicurezza fa sì che possiamo prendere in considerazione l’utilizzo di altri mezzi di trasportoi”. Miglioramenti nella mobilità che si riflettono anche nell’aumento del valore delle case: più 16 per cento, stando ai dati dell’Ue.

 

Bruxelles è diventata una città 30 km/h dal gennaio 2021. I dati hanno sancito che il numero di morti e feriti gravi è stato dimezzato in un anno”. Una città a 30 all’ora non è utopia se si pensa che “a Roma la velocità media nelle ore di punta è di 18 km/h, praticamente si è tornati all’Ottocento, alle carrozze”, sottolinea. E questo perché nelle nostre strade non ci sono solo, e nemmeno in prevalenza, chi l’auto la deve usare per forza, ma chi potrebbe scegliere un altro modo di muoversi. Rendere possibile la scelta di come muoversi porterebbe benefici anche al trasporto pubblico: meno ingorghi, meno doppie file, più corsie riservate, garantirebbero un’efficienza maggiore di bus, tram, filobus ecc.”. 

 

Serve iniziare a cambiare le città, Roma, “e lo si può fare con poco, ma spiegando bene perché lo si fa. La comunicazione è centrale in un processo di cambiamento. Monaco di Baviera era una città che sembrava non poter rinunciare all’auto, ora solo il 27 percento dei cittadini la usa. L’amministrazione investe 10 milioni di euro sulla ciclabilità e un quarto dell'investimento lo mette in comunicazione. Se si spiegano i benefici, se si fa lavoro sul territorio, chi all’inizio si oppone al cambiamento sarà il più arcigno difensore di ciò che è cambiato perché tutto ciò migliora la qualità della vita delle persone. E non sono ipotesi, sono vent’anni di esperienza che ce lo insegnano”.

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