mobilità e politica
Più sicurezza e più qualità della vita: i numeri promuovono le Città 30
Le destre a Bologna potranno raccogliere firme per il referendum per chiedere l’abrogazione della legge comunale che, dallo scorso gennaio, impone il limite dei trenta chilometri orari in molte strade della città. I dati però danno ragione a chi la Città 30 la vuole
Bastassero i dati a convincere cittadini della bontà o meno di una scelta, quelli che emergono da Bologna nei primi tre mesi dall’introduzione dell’estensione del limite massimo di 30 km/h in buona parte delle vie cittadine, sarebbero sufficienti a decretarne il provvisorio successo: secondo i dati del comune, rispetto allo stesso periodo di un anno fa, gli incidenti sono diminuiti del 14,5 per cento, quelli con feriti del 13,4, il numero di feriti in strada del 12,6, i morti sono passati da tre a uno, i pedoni coinvolti in incidenti con automobili sono scesi del 14,7 per cento. E tutto questo è avvenuto mentre il tempo di percorrenza medio in città è diminuito di circa il cinque per cento, come risulta dalle rilevazioni di TomTom. In pratica, nonostante i limiti siano stati abbassati, ci si mette meno a raggiungere un posto X da un luogo Y.
Possibile? Possibile. Va così in tutte le Città 30 (ossia quelle che hanno deciso di abbassare il limite massimo di velocità a. 30 km/h nei quartieri residenziali e del centro, non in tutta la città come viene propagandato dai contrari a priori delle scelte dell’amministrazione cittadina) d’Europa e del mondo. Bologna è solo l’ultimo esempio di un modello positivo e senza controindicazioni. Lo certifica un’indagine fatta da EUlogus: nessuna tra le città che hanno scelto di abbassare i limiti di velocità nelle strade residenziali e del centro è tornata sui suoi passi, anzi la qualità della vita degli abitanti è migliorata.
Lo certificano gli ultimi dati che arrivano da Valencia. A cinque anni dall’estensione del limite di trenta chilometri orari a tutte le strade a corsia unica o a senso unico della città – 2.374 strade ossia il 64,3 per cento di tutte quelle della città – gli incidenti sono diminuiti del 49 per cento, quelli con feriti del 61 per cento, il ferimento di pedoni del 43 per cento, i pedoni feriti gravemente dall’impatto con le autovetture del 91 per cento.
I numeri però a volte non bastano. Soprattutto in Italia.
Che il nostro paese abbia un problema di apprezzamento della matematica è storia nota. Un sondaggio del 1961 evidenziò come la matematica era la materia scolastica meno attraente (piaceva solo all’11 per cento degli studenti) e meno considerate (solo l’8 per cento la considerava necessaria quando superava il mero insegnamento del far di conto). Se a questo si somma il fatto che, nel 2002, il 59 per cento degli italiani considerava la statistica una disciplina “fuorviante perché indirizzata a favorire chi deteneva il potere” (sì, tutto ciò può sembrare assurdo, ma è accaduto), si può capire perché, come sosteneva Curzio Malaparte, “gli italiani sono un popolo che vede complotti anche nei numeri”.
Bologna alle cifre dovrà fare attenzione. A partire dal numero "novemila", ossia le firme che Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia dovranno raccogliere per arrivare al tanto agognato referendum per chiedere l’abrogazione della legge comunale che, dallo scorso gennaio, impone il limite dei trenta chilometri orari in molte strade della città.
Il sindaco Matteo Lepore ha accolto con serenità la decisione del Comitato dei garanti del comune di Bologna (l'organismo di garanzia per gli amministratori pubblici che ha il compito di esprimere pareri sui provvedimenti di responsabilità dirigenziale). C’è da capirlo. Al di là delle polemiche e delle grida allarmistiche del ministro Matteo Salvini e di parte del suo gruppo di sodali, Bologna continua a muoversi e non si è imbottigliata nel traffico. La realtà dimostra che tutti quei sindaci di centrodestra che avevano mostrato scetticismo verso questa posizione di Salvini & co., avevano, al contrario del ministro, capito benissimo cosa sarebbe accaduto: un’evoluzione della città che non avrebbe portato Bologna all’ecatombe di code e immobilismo veicolare annunciato dal Carroccio.
Il ministro dei Trasporti non è il solo, soprattutto non è il primo, ad aver provato a demonizzare le “Città 30”. Va così dal 1991, da quando a Graz l’amministrazione cittadina di allora iniziò a presentare, quartiere per quartiere, i cambiamenti che voleva introdurre, ossia l’abbassamento del limite orario a 30 chilometri orari all’interno di tutti i quartieri residenziali e nel centro storico. Il partito popolare iniziò ad attaccare il sindaco democratico Alfred Stingl e iniziò a dire che il piano del primo cittadino era un attentato alla città. Stingl introdusse i nuovi limiti nel 1992, promettendo che qualora in due anni non si fossero realizzate le promesse fatte ai cittadini – ossia strade più sicure e migliore qualità della vita – la sua amministrazione avrebbe fatto un passo indietro. Nel 1994 solo il 13 per cento dei cittadini chiese al sindaco di ritornare indietro. E chi si oppose con maggior decisione alla scelta del sindaco scese dal 31,9 al 23,2 per cento nei gradimenti alle comunali. Il nome di Ernst Kitterbauer, nel 1991 politico in ascesa tra i popolari contrario all’abbassamento dei limiti di velocità, divenne a Graz e dintorni un modo di dire: “Non fare il Kitterbauer!”, che alle orecchie di un italiano potrebbe suonare tipo “Non fare quello che prova a danneggiare il benessere di tutti”.