mobilità
Bologna Città 30 e i limiti nella valutazione delle politiche pubbliche
Il progetto è un successo? No. C'è un problema di metodo, manca quello che viene comunemente chiamato gruppo di controllo, ovvero il requisito minimo per partecipare al party della valutazione delle politiche, e non si tiene conto di altre variabili che potrebbero spiegare gli andamenti rilevati, come le condizioni meteo
C’è una storia locale che merita di essere raccontata perché rappresenta bene alcuni vizi del disegno e della valutazione delle politiche pubbliche in Italia. Nel gennaio del 2024, diventava effettivo nel comune di Bologna il nuovo limite di velocità di 30 km/h in luogo dei canonici 50. Questo progetto, noto come Bologna Città 30, veniva presentato come uno strumento per ridurre gli incidenti stradali, rendere l’aria più pulita e la città più silenziosa, favorire scelte di mobilità alternative quali i piedi, la bicicletta, i mezzi pubblici, ridurre lo stress legato alla mobilità, rendere la città più vivibile, supportare l’economia locale. Sempre un anno fa circa, con Emma Manneschi e Giulia Romani osservavamo su lavoce.info che non v’era evidenza empirica adeguata a supportare questi effetti di Città 30, che sembravano più che altro costituire un libro dei sogni (non privo di un forte elemento etico-educativo). Aggiungevamo che il Comune avrebbe potuto adottare un approccio diverso: prima sperimentare su piccola scala il provvedimento per poi estenderlo in presenza di eventuali risultati positivi. Facevamo infine notare che, studiando l’andamento degli incidenti nelle poche vie dove già da un po’ di tempo vigeva il nuovo limite, non si evidenziava alcun calo dell’incidentalità.
Oggi, a un anno dall’avvio del provvedimento, il comune di Bologna ha diffuso un documento che riporta alcuni dati secondo i quali Città 30 è stato un grande successo: meno decessi, meno investimenti di pedoni, meno incidenti, meno feriti, più bicicletta, meno traffico, meno inquinamento. Tutto bene? No. No perché il documento, enfatico e celebrativo, presenta lacune grossolane. Primo, c’è un problema di metodo. Prendiamo per esempio il calo degli incidenti. E’ noto che per attribuirlo credibilmente a Città 30 occorre confrontare la dinamica degli incidenti a Bologna (che è il dato riportato dal comune) con quella registrata in altre città simili che prima dell’introduzione del nuovo limite presentavano trend di incidentalità analoghi (dato non riportato). In altri termini, manca quello che viene comunemente chiamato gruppo di controllo, ovvero il requisito minimo per partecipare al party della valutazione delle politiche. Secondo, non si tiene conto di altre variabili che potrebbero spiegare gli andamenti rilevati, quali per esempio le condizioni meteo e tante altre. Terzo, non si verifica se il nuovo limite sia stato effettivamente rispettato (cosa rilevabile, come ha fatto Francesco Ramella su X, con i dati del gps). Quarto, come fa a essere credibile una valutazione in cui valutato e valutatore coincidono? Sarà che il conflitto di interessi è passato di moda.
Queste considerazioni non sono contro Città 30 di per sé ma contro il metodo di disegno, valutazione e narrazione dell’iniziativa. E non riflettono partigianeria contro la sinistra che governa la città. Gli stessi vizi, anzi parecchio amplificati, li troviamo in tantissime altre misure ben più note e di diverso colore politico, dal Reddito di cittadinanza a quota 100, passando per il Carrello tricolore col quale il governo in carica sostiene di aver fermato l’inflazione riaffermando il primato della politica sull’economia. Queste sono considerazioni a favore del partito che non c’è o che, se c’è, sembra avere una vocazione minoritaria: il partito della ragione e delle ragioni (dei cittadini). Fin qui, il dito è stato puntato verso il lato di chi pensa, decide, attua, narra politiche pubbliche. E’ il lato dell’offerta delle politiche, con tutte le sue note debolezze. Ma un’analisi più completa non può non interrogarsi sull’altro lato, quello della domanda di buone politiche. Quanto è forte questa domanda nel paese? Noi cittadini siamo davvero interessati a conoscere gli effetti delle politiche, per come emergono da un dibattito aperto, su dati condivisi, supportato da esperti? Siamo disposti a rinunciare a narrazioni veloci, consolatorie e identitarie con le quali rinforziamo un pezzettino di noi in cambio del voto?