Il sarto che dà la linea
L’esempio di Savile Row per diventare un’istituzione. Caraceni a Roma, l’ambizione dell’abito perfetto
Per riuscire in ogni mestiere o arte è indispensabile conoscere gli elementi di teoria su cui essi si fondano. Per un sarto, è necessario avere familiarità con numeri e misure, con stoffe e abbinamenti di colori, avendo ben chiaro a cosa ci si riferisce quando si sta parlando di un’asola “lunga e senza goccia” o di un “bavero a lancia”, per non parlare poi del risvolto dei pantaloni da non confondere con il “revers”. Tutto questo, ovviamente, non basta per arrivare alla perfezione e la pratica, come sempre, è necessaria. La lavorazione di un abito interamente fatto a mano è una storia affascinante e lunga che coinvolge il lavoro di abili artigiani in grado di fondere il sapere con abilità manuali e tecniche apprese nel tempo. Fondamentale, in ogni sartoria che si rispetti, è il tagliatore sarto, una figura storica che oltre a seguire regole ben precise, deve conoscere anche lo scheletro del corpo umano, cognizioni entrambe necessarie ma non sufficienti per tagliare bene i vestiti. A tale scopo sono necessarie mani esperte che, oltre a tagliare, devono saper disegnare con abilità le linee con il gesso e cucire senza sbagliare di un millimetro i tanti punti necessari per costruire l’abito. Realizzarne uno da uomo (ma sono sempre di più le donne che li richiedono), da giorno come da sera, è un’arte antica che richiede studio, pratica, tempo, fatica, disciplina, tanta pazienza e passione. Sono queste le regole di un laboratorio artigianale, del “saper fare” a mano nella sartoria, cuore del successo di quell’italian style che tutto il mondo ci invidia.
Di tutto questo e di molto altro ancora abbiamo avuto conferma visitando l’atelier della Sartoria Caraceni, presente a Roma dal 1926 e in pianta stabile nella nuova sede di via Campania dal 1963. Una delle più antiche e prestigiose sartorie italiane, tra le poche a essere rimasta nella capitale, l’unica in quello che fino a qualche anno fa era considerato il quartiere della moda maschile, a pochi passi da Villa Borghese e da via Veneto, la cui leggenda e mondanità sono oggi solo un lontano ricordo. A tenerne viva la memoria ci ha pensato negli anni questa sartoria – tempio capitolino dell’eleganza maschile dove la tecnica e lo spirito artistico si fondono e si esprimono attraverso linee uniche e ben riconoscibili – che ha una storia lunga ed affascinante che inizia da lontano.
Fu Domenico Caraceni (1880-1940) – una delle figure chiave per quanto concerne l’abbigliamento maschile inteso nella sua storia ed evoluzione – che da Ortona al Mare, in Abruzzo, a soli quindici anni, arrivò a Roma per diventare apprendista e poi primo tagliatore. Si distinse subito per la sua bravura nella perfezione del taglio e nell’eleganza delle linee e fu talmente richiesto da mettersi in proprio aprendo la sua prima sartoria nel 1926 in via Boncompagni, poco distante dalla sede attuale. Solo, in quella grande città che già allora era abbastanza complicata, chiamò suo fratello Augusto a lavorare con lui e subito dopo li raggiunse anche il più giovane dei tre, Galliano, un uomo dal grande carisma e con una particolare propensione per le pubbliche relazioni. Grazie a Francesco Paolo Tosti, il compositore italiano che piaceva tanto alla regina Vittoria (lo nominò baronetto), nella bottega romana arrivarono molti dei suoi abiti che si faceva confezionare da un sarto della celebre e leggendaria Savile Row, a Londra, simbolo per antonomasia di eleganza. Abiti che, dopo un certo periodo, venivano mandati in Italia per essere stretti o rimessi a modello e finivano proprio in quella sartoria, nelle mani di Domenico, suo amico e concittadino, che con amorevole dedizione li cuciva e li smontava interamente. Fu così che Caraceni iniziò a studiare le linee, le forme, i punti, il taglio, lo stile, i segreti e la tecnica di quegli abiti inglesi, combinandone una sua propria, più complicata e ricca di punti, ma decisamente più morbida. “Fu un pioniere nel suo campo – spiega al Foglio Giancarlo Tonini – perché decise di dire basta a vestiti-armature e per primo intravide la necessità di studiare e realizzare forme e tagli che mettessero a proprio agio le persone che li indossavano, agevolandole nei movimenti e rendendo tutto molto più fluido e dinamico”.
Classe 1936, originario di Fossombrone, Tonini è il punto di forza della celebre Sartoria Caraceni di Roma dove è tagliatore storico dal 1962, “ma in realtà ho iniziato molto prima, a dodici anni”. “Finalmente – aggiunge – grazie a Domenico fu dato grande spazio a creazioni che fossero in sintonia con la persona fino a garantire il massimo confort, oltre alla morbidezza, alla leggerezza e alla flessibilità”. Questi stessi concetti furono messi su carta proprio da Domenico in “Orientamenti nuovi nella tecnica e nell’arte del sarto”, un suo trattato pubblicato nel 1933, nel momento esatto in cui i suoi abiti erano i più raffinati e i più richiesti di Roma, indossati dall’aristocrazia, da politici, banchieri e industriali, ma anche da tanti attori americani di passaggio nella capitale – come Douglas Fairbanks, Cary Grant, Gary Cooper e George Raft – e da italiani come Vittorio De Sica e Paolo Stoppa. Per realizzare quel trattato, decise di creare una sorta di parallelismo con gli architetti razionalisti “che vestono la terra”, a differenza dei sarti che invece “vestono gli uomini che camminano sulla terra”. Sveglio e determinato, ebbe l’estro di capire per primo che in Italia bisognava “vestirsi all’italiana” senza distinzioni regionali e che il gusto nazionale “non sta – come si legge nel trattato – nella sagoma generale, ma nei particolari e nell’espressione che emana da un lavoro compiuto”.
Negli anni, i Caraceni riuscirono ad aprire altri atelier a Milano, a Parigi e a Napoli, ma dopo la morte di Domenico, le ultime due vennero chiuse. Augusto decise di mettersi in proprio nella città lombarda (in via Fatebenefratelli) assieme a suo figlio Mario mentre a Roma fu Galliano ad aprire con i figli Tommaso (detto Tommy) e Giulio una nuova sartoria in via Campania, che è poi la sede attuale. Oltre a Tonini, ad accoglierci in sartoria – un ambiente formale ed elegante, con un arredo che se non fosse per alcune presenze di modernità, ci farebbe tornare subito agli anni Cinquanta – ci sono Guido Sinigaglia e Andrea Caraceni, rispettivamente genero e nipote di Tommy, che nel frattempo è andato in pensione. Andrea è il più giovane della famiglia, ha ventinove anni e da due ha iniziato a lavorare fianco a fianco con Giancarlo, che tutti i clienti più affezionati chiamano più semplicemente Carlo – un uomo esigente ma buono che ama insegnargli il mestiere, “perché non sono geloso e mi fa piacere che i giovani imparino un’arte antica e preziosa come questa”, ci tiene a precisare. “E’ una storia lunga quella che un abito Caraceni porta dentro di sé prima di arrivare a vestire il cliente per cui è stato ideato e cucito”, ci spiega Andrea, elegantissimo nel suo completo doppiopetto verde oliva. “Iniziamo facendo scegliere i tessuti, prendiamo le misure e se non è un cliente abituale, si fa la prima, la seconda e terza prova”, aggiunge. “La parte più importante è comunque il momento in cui l’occhio del sarto riesce a penetrare nella personalità del cliente per cogliere quel qualcosa di sé che ognuno vuole trasmettere attraverso il proprio stile, coniugandolo all’impronta e alle linee così da rendere quell’abito stesso sempre riconoscibile”. Una volta scelta la stoffa, viene bagnata per evitare deformazioni durante la lavorazione e successivamente stirata: arriva poi nella mani del tagliatore che trasforma le misure prese in sottili linee di gesso, creando un modello segnato da zero per il cliente. Nella prova successiva, invece, l’abito viene smontato e rimesso in piano così che il modello corretto possa essere segnato con la massima precisione. Ogni dettaglio riceve una cura che arriva a sfiorare quasi la maniacalità che non è mai abbastanza quando si ha a che fare con l’eccellenza. Successivamente, dopo altri e numerosi passaggi, si definiscono piccole correzioni e l’impronta definitiva da dare all’abito. Una giacca – che è l’anima del vestito – deve ricevere attenzione e cura nelle varie fasi di costruzione ed è un lavoro che è molto simile, come processo, alla scrittura: richiede concentrazione e i vari pezzi vengono messi insieme in maniera armonica fino al final edit, il momento della stiratura del vestito prima della consegna.
Mentre parliamo, ci vengono fatte visitare le altre stanze, dal grande salone in cui viene accolto il cliente ai due grandi camerini con specchi e centinaia di fotografie alle pareti che ritraggono personaggi famosi che hanno vestito o vestono Caraceni. Se un maestro dell’eleganza, lo stilista Valentino (in una delle foto è a una serata di gala assieme a Sophia Loren) e il suo socio e compagno storico Giancarlo Giammetti, vestono solo questi abiti, qualcosa vorrà pur dire. Ci sono anche diverse foto di Gianni e Susanna Agnelli, Totò, Luca Cordero di Montezemolo, Gianni Letta, Alberto Arbasino, presidenti della Repubblica, emiri arabi, principi, attori e cantanti. Impossibile elencarli tutti perché occupano tutte le pareti di quelle due speciali wall of fame, uno spaccato del jet set internazionale di ieri e di oggi. “I nostri clienti sono esigenti, ma noi lo siamo ancora di più, perché se il vestito non è perfetto, noi non lo consegniamo”, ribadisce Giancarlo.
Oltre all’armadio che contiene l’archivio dei modelli di carta con dati e misure di ogni cliente, un’altra stanza che impressiona davvero è quella dedicata agli “abiti morti”, ovvero a tutti quelli (sono davvero molti) che non sono stati mai ritirati dai loro rispettivi proprietari. “Se una persona viene qui, cresce in lei il gusto e la voglia di vestirsi bene”, ci fa notare Andrea che non indossa mai un paio di jeans se non per lavoro, ma ha un dilatatore nero sull’orecchio sinistro, “l’ultimo baluardo a difesa della mia gioventù”. “La storia deve rimanere questa per sempre perché sull’artigianato non si può cambiare niente”, precisa Tonini. “Non facciamo cose di tendenza, perché altrimenti questa non sarebbe la nostra sartoria: per un uomo, il gusto e lo stile rimarrà sempre quello”. Puntare sui giovani, aggiunge, è fondamentale per far sì che una tradizione come questa continui a essere tramandata dai nuovi custodi di quei segreti che hanno fatto la storia di un’eleganza e di uno stile unici”.
generazione ansiosa