È l'export l'unica soluzione possibile per la moda italiana
Presentata l'edizione di Pitti Uomo che inizierà il prossimo 13 giugno a Firenze. Ci sarà anche Il Foglio
Il settore del tessile-abbigliamento cresce, quello italiano dell’1% nel 2016 a 52,9 miliardi di euro, rimbalzino tecnico dopo il forte recupero del 2015 sugli anni di crisi, ma ormai pensare che moda significhi camicie a righe o a fiori, spalla stretta o revers lungo è ampiamente riduttivo. Si dice moda, ma si intende distribuzione, cioè logistica, pianificazione e risparmio nei trasporti, ottimizzazione delle rese che nei casi migliori significa resa zero: produzione a consegna a richiesta, come nel lusso ma con numeri di massa e via web. Il futuro delle multinazionali dell’abbigliamento e degli accessori si gioca infatti sempre di più sulla capacità di intercettare l’evoluzione dei desideri e sulla capacità di tradurli in acquisto, e questo vale anche per quella sorta di multinazionale complessiva, quel sistema multiforme e rompicapo che è la moda italiana, unione di infinite piccole, medie e grandi aziende con tre o quattro soli player massimi a capitale nazionale: Prada, Giorgio Armani e Dolce&Gabbana.
L’e-commerce cresce al ritmo del 20% annuo negli Usa e sta conquistando quote di mercato sempre più ampie anche in Italia, territorio storicamente affezionato al rapporto one-to-one per non dire affettivo con il cliente, ha ribaltato le sorti di boutiques cresciute fra gli Anni ottanta e Novanta che rischiavano di vedere i propri fatturati estinguersi con la crisi e che ora invece toccano i cento milioni di fatturato (due casi per tutti, Luisaviaroma di Firenze e Giglio di Palermo), e ha dato vita a uno dei pochissimi casi di boom imprenditoriale italiano nel settore degli ultimi anni, Yoox, quotato come Ynap dopo l’acquisizione del rivale francese Net-à-porter. Dunque, ha certamente avuto ragione Claudio Marenzi, neo-presidente di Pitti Immagine, ma anche di Smi-Sistema Moda Italia che vuol dire Confindustria, di Herno, del Golf Club Alpino di Stresa e tenendo gran botta su tutto (il suo primo Pitti Uomo data 1978: esponeva suo padre, con gli storici impermeabili fatti a Lesa, e lui era adolescente. In un certo senso questa nuova carica se l’è guadagnata), quando questa mattina ha aperto la conferenza stampa della 92 edizione di Pitti Uomo ponendo l’accento sull’export e sulle logiche distributive come fattore di crescita.
Saranno questi anche i temi della nuova edizione del convegno itinerante organizzato da Il Foglio in collaborazione con Pitti Immagine il 13 giugno prossimo, giorno di apertura di Pitti, e annunciato dal direttore generale Agostino Poletto: “Fashion in e-commerce, fashion in e-motion”, che coinvolgerà espositori, istituzioni e opinion leader in cinque momenti di incontro, con postazioni mobili e speciali “videocall”, nei luoghi simbolo della Fortezza da Basso, ripresi e diffusi live via social, web e poi ripresi sul quotidiano. Export come unica soluzione possibile a un mercato interno non troppo mobile, e-commerce e forme alternative di marketing come leva di crescita: lo scacchiere mondiale della moda risente ancora una volta, e come potrebbe essere altrimenti, della situazione politica. Recupera la Russia, ma si ferma la Corea del Sud, grande attore degli ultimi anni, disertata dai turisti cinesi che non vorrebbero vedersi puntati addosso i missili di Kim Jong-Un. In Gran Bretagna, in compenso, non si è ancora sentito l’effetto Brexit sulle vendite (“anzi, il deprezzamento della sterlina ha aiutato parecchio”, osserva Marenzi), e la Spagna cresce del 6%.
Se la storia dell’Occidente è stata fatta in buona parte dai commerci di tessuti, spezie e beni di lusso, influenzandone la politica, quella di oggi continua a dipenderne in misura minore solo all’apparenza. Dalla nostra capacità di rispondere a queste sollecitazioni dipende anche una definitiva ripresa dell’occupazione nel settore (si sta finalmente arrestando la moria di aziende e l’emorragia di addetti: le prime dovrebbero stabilizzarsi a 46.890 circa, pari allo 0,4% e 188 unità in meno, mentre gli occupati si sarebbero stabilizzati a 402.000 circa, -0,2%.
Di poco di questo, invece, si parlerà a Pitti Uomo dal 13 al 16 giugno: ancora una volta, sopra l’ovvia esigenza di fare business, si stende infatti il manto della cultura, dell’allegria, degli eventi: Palazzo Pitti apre. Nella Fortezza disegnata da Giuliano da Sangallo andranno in esposizione su sessantamila metri quadrati 1220 marchi, di cui quasi la metà stranieri e 220 fra nomi nuovi e rientri. Sono attesi trentamila visitatori, di cui 8400 buyer stranieri. Tema di stagione, studiato dal lifestyler Sergio Colantuoni, “Pitti blooms”, una fioritura surreale, simbolo di energia. Ospiti speciali, curati dal responsabile eventi e progetti Lapo Cianchi con Poletto, il designer nord irlandese J.W. Anderson, il lifestyle di Virgil Abloh, il sexy-calzaturiere Christian Loubutin. Movimento e trasporti garantiti da Mini. Le useranno in tanti per salire a Palazzo Pitti la sera del 13 giugno in occasione dell’apertura della mostra “Il museo effimero della Moda” curata da Olivier Saillard, anima del Palais Galliera di Parigi, in collaborazione con Caterina Chiarelli e, come si dice in questi casi, “fortemente voluta” dal direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt in vista della prossima costituzione del Museo della Moda. Abiti e accessori non verranno esposti nelle sale del Museo, ma negli archivi, spazio ignoto e di eccezionale interesse. Saranno in mostra quasi duecento capi, distribuiti in diciotto sale: i pezzi selezionati vanno da metà Ottocento fino ai giorni nostri, abiti che vengono mostrati per la prima volta - mai usciti dalle scatole per la conservazione - e altri esposti per l'ultima volta, prima di tornare negli archivi perché troppo fragili e delicati. In mostra capi “proustiani” di Worth, ma anche della rivoluzionaria sarta italiana Rosa Genoni.
generazione ansiosa