Da sinistra Carla Bruni, Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Cindy Crawford e Helena Christensen (foto profilo Twitter @Versace)

Vent'anni dopo, Gianni Versace è più vivo che mai

Fabiana Giacomotti

Alla Triennale, sfila la collezione primavera estate 2018 di Versace, ma è un collage idi tutte le più belle collezioni degli Anni Novanta. Ecco tutto quello che le donne devono al grande stilista

Le stampe “Warhol” rieditate, con lo stesso fourreau che nella campagna primavera estate 1991 indossava Linda Evangelista e ora non sai bene chi, perché non la guardi nemmeno in faccia, vuoi solo vedere se il vestito è proprio lo stesso che conservi nell’armadio come una reliquia. Le farfalline dell’ultima collezione, estate 1997, con gli stessi asciugamani avvolti in testa. I blazer doppiopetto perfetti. Gli abiti da sera effetto latex ma in tenero azzurro e glicine. Alla Triennale, sfila la collezione primavera estate 2018 di Versace, ma è un collage irresistibile di tutte le più belle collezioni di Gianni Versace degli Anni Novanta.

 

 

E’ un colpo al cuore che avresti dovuto aspettarti e che invece non ti aspettavi ma che ti riempie di entusiasmo, anche se l’uomo che la voce off ricorda e che risuona alta sulla passerella è morto vent’anni fa. Recita, in inglese, parole di Donatella che potrebbero essere quelle dell’immensa famiglia della moda, dell’internazionale del glamour: “Gianni, this is for you”. “Gianni ti amiamo”. “La moda non sarebbe stata la stessa senza il tuo genio”. E poi le parole che avremmo voluto ascoltare molto spesso, in questi giorni di carneficina, di infame battaglia sul corpo delle donne che scuote l’Italia, e che invece non abbiamo ascoltato mai: “Riconoscevi il potere delle donne”, “ci hai sempre valorizzate”.

 

Le modelle di oggi, le Tami Williams, le Belle e Gigi Hadid, le Karlie Kloss, le Kendall Jenner e tutti gli altri musetti che ci siamo abituati a vedere e a vezzeggiare, sfilano con la stessa grinta che gli abiti di Versace richiedono quasi naturalmente, praticamente impongono. Ma quando, a fine sfilata, sulle note di “Freedom 90”, compaiono Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Carla Bruni, Helena Christensen e Cindy Crawford vestite di lamé d’oro, l’entusiasmo dell’audience tocca le stelle ed è semplicemente ovvio che fra quelle cinque dee belle oggi ancora e forse più di ieri, nella loro consapevolezza, e queste pur bellissime ragazze, c’è quel genere di divario che gli americani definiscono “star quality” e che, forse, avevamo dimenticato.

 

 

Con l’età d’oro della bellezza femminile tonica, bella e vincente tramortita da due decenni di morticine e di educande smunte, avevamo dimenticato molte altre cose, e cioè tutto quello che la moda deve a Gianni Versace: il saccheggio creativo dell’arte, la forza dei tagli più valorizzanti che si possano immaginare, la sfacciataggine nello sfiorare costantemente il kitsch senza cedergli mai, ma soprattutto l’energia. Sfilano le collezioni di Gianni Versace sulle note di George Michael e sono entrambi morti, eppure nessuna sfilata avrebbe potuto galvanizzare il pubblico delle sfilate milanesi più di quanto abbia fatto questa, nonostante metà del pubblico presente fosse ancora in fasce quando Andrew Cunanan sparò allo stilista sulla Ocean Drive, di fronte alla sua residenza ora trasformato in albergo per cafoni in cerca del brivido, e Kaia Berger, che ora sfila in passerella accanto alla madre Cindy Crawford, non fosse nemmeno ancora nata.

 

Santo Versace, raggiunto al telefono per una delucidazione, dice che per la prossima stagione verranno rieditate tutte le collezioni più belle di Gianni senza alcuna edizione limitata: l’operazione è geniale dal punto di vista strategico (per i Versace, si tratta di una puntualizzazione molto precisa della loro posizione nella storia della moda mondiale), educativo (per tanti, sarà un bel ripasso e non di rado unna grande scoperta) ma anche commerciale. Sarà una caccia alle gonne asimmetriche danzanti in tulle, alle giacche che ti fanno sentire una guerriera senza paura, ai vestiti da sirena. Da che cosa sia stata suggerita questa decisione, non è dato sapere. Quel che è certo è che lo scorso 15 luglio, ventennale esatto dell’uccisione dello stilista, su Instagram si è formata spontaneamente una sorta di catena spontanea di selfie di appassionati di Gianni Versace che indossavano il loro capo preferito. I collezionisti di Versace allignano ovunque. Uno di loro, Antonio Caravano, proprietario di centinaia di camicie stampate e di abiti, le ha da poco portate in mostra al Museo archeologico di Napoli, con il titolo molto acuto e astuto del direttore Paolo Giulierini “Dialoghi-dissing”: un omaggio a un protagonista del dissenso che oggi, vent’anni dopo, ha oscurato tutte le altre sfilate. Siamo senza parole, al momento, per chiunque altro, anche per giovanissimi e bravissimi come Nicola Brognano. Dei giovani, scusate, parleremo domani. Farlo oggi, sarebbe rendere loro un pessimo servizio, quando davvero non lo meritano. Con i miti, a vent’anni non si può competere.