Vie dello shopping
I negozi reali e quelli virtuali, una convivenza possibile. Solo il lusso diffida dell’e-commerce: da Milano a Hong Kong, affitti da capogiro
Non è e-commerce tutto quello che riluce dietro lo schermo del pc. Non lo è il lusso, per esempio, che dopo anni di diffidenza ha imparato a sfruttare le piattaforme più importanti per promuoversi e, almeno ufficialmente, mettersi in vendita, ma che continua a effettuare le transazioni più importanti al riparo dagli hacker, cioè di persona, e nei negozi, come peraltro dimostra il continuo aumento dei prezzi di affitto al metro quadro nelle principali vie dello shopping, da Rodeo Drive a Los Angeles a via Montenapoleone a Milano, a Canton Road, Hong Kong, tornata ai fasti degli anni pre-restituzione alla Repubblica Popolare Cinese nel 1997, dopo un ventennio di sussidiarietà rispetto a Shanghai.
Il mercato del lusso ha imparato a sfruttare le piattaforme più importanti per promuoversi. Vendite al riparo dagli hacker
Nei giorni scorsi, Federico Marchetti ha offerto un orologio da quattrocentomila euro sulla piattaforma Ynap che, pur ceduta a Richemont, continua a dirigere. Non era il primo esperimento del genere – ogni stagione, anzi, il geniale ravennate che ha cambiato il volto dello shopping di lusso alza un po’ la posta – e non sarà certo l’ultimo: nel bilancio 2017 della piattaforma e-commerce, presentato qualche settimana fa, il cosiddetto hard luxury, cioè e appunto gioielli e orologi, figurava fra le leve di crescita, e senza alcun dubbio rappresenta il principale motivo che ha spinto il magnate sudafricano Johann Rupert ad acquistarla. Nella sfida dell’e-commerce al retail fisico e reale, quello che una volta si chiamava commercio al minuto e che tale è rimasto anche se sposta cifre a sei zeri, le strategie di marketing hanno infatti preso il sopravvento sull’azione della vendita in sé e, per comodo che possa essere ricevere la spesa della settimana o, come in questo caso, la versione Blue del Bell&Ross BR-X1 Skeleton Tourbillon Sapphire a casa, è ovvio che nell’immaginario collettivo l’idea che qualcuno nel mondo possa fidarsi del sistema transattivo e distributivo online al punto di digitare la cifra quattro seguita da cinque zeri e dal numero della propria carta di credito sul proprio pc o smartphone ha un potere di rassicurazione difficile da eguagliare con qualunque campagna pubblicitaria. Che poi questo avvenga davvero è un’altra questione.
Una transazione di questa portata comporta infatti uno scambio personale, diretto, e un servizio personalizzato. Il postino non suona mai con un collier di Cartier sottobraccio, siatene certi, e in caso dovesse mai succedere, scordatevi che lo farebbe non dico due, ma una sola volta. Su Ynap, i clienti Eip (acronimo di “extremely important people”: Marchetti detesta la formula abusata di Vip), vengono infatti vezzeggiati con trunk show a domicilio e ogni genere di servizio esclusivo: rappresentano infatti solo il 2 per cento dei clienti stagionali ma, come segnalava il Sole 24 Ore di recente, il 40 per cento del giro d’affari di due delle controllate del gruppo, Net-à-Porter e mr. Porter, il portale di servizi e e-commerce al maschile che fra meno di una settimana lancerà per l’appunto una linea di orologi Cartier in esclusiva.
La sfida al retail fisico e reale: Federico Marchetti ha offerto un orologio da 400 mila euro su Ynap. Un portale con Cartier in esclusiva
Questa intensa attività virtuale non significa però che il marchio del gruppo Richemont stia dismettendo i propri negozi nelle arterie del lusso, o che abbia smesso di invitare i propri clienti a prime teatrali, cocktail e ricevimenti, cioè di coinvolgerli nelle attività di pubbliche relazioni personalizzate che da secoli sono la principale leva di vendita nel lusso. Nonostante i maggiori esperti di distribuzione diano per scontata la prossima scomparsa del retail, cioè del sistema di vendita fisica come lo conosciamo oggi, non passa mese senza che un agente immobiliare non dia notizia dell’aumento del prezzo medio di affitto dei negozi nelle aree del lusso. Qualche sera fa, il neo-amministratore delegato di Dior, Pietro Beccari, raccontava che il prestigio di Canton Road, la storica via dello shopping dell’ex concessione britannica, non è diminuito di un dollaro, sebbene la totalità dei negozi e dei department stores che vi si affacciano, da Fendi a Gucci a Moncler, stiano investendo molto sulle rispettive piattaforme online e sui social media con iniziative di valorizzazione del rapporto diretto con il potenziale cliente, il cosiddetto engagement.
“Siamo e dobbiamo essere sempre più digitali, ma questo non vuol dire scavalcare il negozio fisico” (Remo Ruffini, patron di Moncler)
“Non credo che il retail per così dire fisico sia arrivato al capolinea, ma che sia complementare all’evoluzione rapidissima della vendita online”, dice al Foglio Beccari da Parigi, dove sta iniziando a mettere mano al posizionamento della maison dopo l’affondo easy pop delle ultime stagioni (“l’inizio? Intensissimo come mi aspettavo, ma allo stesso tempo appassionante”). Canton Road, storica arteria di scarsissimo fascino architettonico e straordinaria intensità commerciale, è infatti tornata a essere la destinazione preferita del consumatore cinese, quella geograficamente più vicina ma già un po’ esotica, avvolta dal fascino di una contaminazione europea che non ha mai perso del tutto e nonostante l’impegno di una generazione di progettisti dall’intervento facile, tanto che il prezzo al metro quadro rimane fra i più elevati al mondo. Se mai vi venisse in mente di proporre le vostre merci per qualche settimana in un pop up store di centocinquanta metri quadrati nella parte meno prestigiosa della lunga direttrice, l’affitto è di 7.100 dollari al mese, affitto minimo per tre, massimo per un anno; sono più o meno gli stessi prezzi di Montenapoleone, con la differenza che un pop up store, cioè un negozio a tempo, nella via simbolo dell’acquisto di lusso a Milano non si è mai visto (qualcuno, ogni tanto, ha fatto un investimento superiore alle proprie possibilità ed è stato costretto a chiudere, qualcun altro usa il negozio come investimento di marketing e comunicazione inscrivendolo nella colonna delle perdite già il primo di gennaio, ma nessuno ha mai aperto i battenti per richiuderli nel giro di una stagione).
Victoria Harbour visto dallo Sky100, in cima all'International Commerce Center di Kowloon, Hong Kong (Wikimedia)
Hong Kong, con la sua mobilità e i suoi riti commerciali meno rigidi, sta offrendo risultati non insperati ma certamente al di sopra delle aspettative. Lo scorso novembre, per esempio, Moncler ha aperto il suo nuovo monomarca, cinquecento metri quadrati nell’area di Harbour City, la più prestigiosa di Canton Road, con una collezione capsule e una performance di contaminazione artistico-pop che ha coinvolto, nei luoghi simbolo della città, diecimila pupazzi “mr Moncler” alti cinquanta centimetri, con i quali i passanti erano invitati a interagire, cioè e principalmente a scattarsi selfie. L’iniziativa, che ha anticipato il nuovo progetto di alternanza creativa mensile Moncler Genius presentata a Milano lo scorso febbraio e al debutto a giugno (otto talenti del calibro di Pier Paolo Piccioli, Francesco Ragazzi e Simone Rocha per altrettante collezioni, da proporre ai clienti in momenti diversi, in modo da generare costantemente curiosità e attenzione), pare stia ripagando il patron Remo Ruffini dell’impegno logistico ed economico profuso. “Siamo e dobbiamo essere sempre più digitali, ma questo non vuol dire scavalcare il negozio fisico”, dice. “Il digitale e il reale si devono necessariamente muovere contemporaneamente e attualmente a mio avviso: la sfida si può vincere solo se si riesce a tradurre in una vera omnicanalità”. Per questo, anche Moncler, che con Marchetti ha sviluppato più di un progetto, ha lanciato una strategia di commercializzazione e servizio ibrida che permette al cliente di ritirare il proprio acquisto online in alcune boutique o viceversa di “effettuare un click-from-store”, operazione, spiega Ruffini, “che garantisce a un negozio, anche piccolo, di avere accesso a un magazzino Moncler virtuale molto più grande, oppure di riservare da casa un prodotto nel negozio più vicino”. L’obiettivo, sintetizza, e potrebbe essere il titolo di questo articolo, “è la convergenza fra esperienza fisica e virtuale”.
Qualunque vero esperto del settore vi dirà la stessa cosa: il futuro del commercio è l’omnichannel cioè l’interazione fra il negozio fisico e quello virtuale, ma la qualità dell’esperienza che il cliente deve poter vivere pressoché identica; anzi, se possibile del tutto identica.
Lo scorso Natale, Hermès che pure riserva pochissime attività di vendita al proprio sito, ha però reso disponibile a tutti, clienti effettivi o ipotetici, un augurio virtuale musicale e animato: si conosce gente che nel giro di quarantotto ore ha inviato centinaia di cravatte virtuali Hermès personalizzate che ballavano il tango. La virtualità non ci sta facendo consumare meno né, per certi versi, meglio o secondo logiche più sostenibili. Anzi, è possibile che, guardando ai tempi attuali, fra un decennio, scopriremo che l’omnichannel ci ha fatto spendere molto di più per il solo fatto di farci sentire tutti unici e, definizione molto in voga, “speciali”.
Qualunque esperto del settore vi dirà: il futuro del commercio è l’omnichannel, l’interazione fra il negozio fisico e quello virtuale
Lungo il filo delle emozioni e delle nostre “esperienze” va giocandosi la nuova partita del consumo globale. Noi stiamo tutti, forse, vivendo delle “esperienze” e delle “emozioni”: ma la ragion d’essere di ognuna di queste è finalizzata all’acquisto. Se non oggi, domani o al massimo dopodomani. Non c’è nulla di male in questo, dopotutto ci diverte incrociare per strada milioni di omini Moncler o spedire decine di braccialetti Hermès che per il momento non possiamo permetterci o, ancora, visitare il museo-mausoleo di Giorgio Armani, il Silos, sognando sui suoi abiti di cristalli. L’importante, però, è saperlo, cioè identificare queste emozioni come parte integrante di un processo di seduzione commerciale. Come osserva lo storico della University of London, Frank Trentmann, ne “L’impero delle cose”, ponderoso saggio sullo sviluppo del rapporto fra produzione e consumo dal Rinascimento a oggi, tradotto in Italia qualche mese fa per Einaudi, non è possibile tracciare una linea netta fra le cose e le emozioni e immaginare che, liberandoci addirittura dai ceppi della proprietà materiale, torneremo a godere di “esperienze autentiche”: l’impero, o per meglio dire, l’imperio delle cose, è dilagato in parte perché il possesso è divenuto, e in realtà è sempre stato, veicolo di identità personale, memoria ed emozioni (“ci affanniamo per il superfluo; ecco che cosa logora la toga, cosa ci costringe a invecchiare sotto una tenda e cosa ci spinge in terre straniere, mentre quel che ci basta è a portata di mano”, scrive Seneca in una delle sue lettere a Lucilio, che gli storici hanno identificato nel governatore della Sicilia del tempo).
Per il collezionista, le cose non sono materia morta, ma amici e famigliari: per chi percorre Canton Road, gli omini Moncler sono parte di un processo di identificazione, al tempo stesso altro da sé e parte di sé. E per questo, il sistema di distribuzione misto, ibrido, omnicanale, è la risposta unica possibile alla frammentazione e moltiplicazione del nostro tempo: dove noi siamo, c’è anche il prodotto, offerto nel mondo più colto, affettuoso e intrigante possibile.
L’editore di Arbiter, Franz Botré, chiama a raccolta spesso i suoi lettori per serate a base di sigari, chiacchiere, prove sartoriali; gente dall’apparenza non necessariamente vistosa e di varia origine e interessi che però si fa fare abiti e auto su misura, lui per primo. Persone per le quali abiti e auto diventano oggetti preziosi tanto per i sentimenti che generano nell’animo quanto per il loro uso. Non è ancora dunque chiaro, e le analisi condotte da Trentmann lo dimostrano, perché le tecnologie più avanzate, i droni che trasportano le borsette dei Dolce&Gabbana in sfilata oggi e le borse con la spesa domani, dovrebbero spezzare questo modello, questo doppio asse trasversale e interconnesso dell’esperienza e del consumo. I viaggi di lavoro si sono moltiplicati, non dimezzati, da quando esistono le videoconferenze, e lo stesso accade, per non perdere di vista il settore primario dell’esplorazione sentimentale, con le sfilate: ormai quasi chiunque, nel mondo, può assistere alla presentazione della collezione di Prada seduto in poltrona, in streaming: eppure, il suo ufficio stampa non ha smesso di ricevere richieste di accredito e di dover consolare gli esclusi, con e mail affettuose o, nei casi più gravi, con bouquet molto fisici, molto costosi e molto, come si dice in gergo, esperienziali.
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