K. Lagerfeld 1933-2019
Più che una leggenda, più che un direttore creativo “eterno”, è stato un Papa. Con la sua sede vacante romana
Roma. Nonostante si facesse chiamare kaiser in virtù dei natali tedeschi, Karl Lagerfeld era più che altro un Papa. Lo stilista morto ieri all’età (presunta, era uno dei tanti misteri alimentati ad arte) di ottantacinque anni, come un Papa aveva rinunciato al suo casato, assumendo il magistero di chiese per sempre riconoscenti: Chloé e Fendi e Chanel. Come un Papa era eterno – forse l’unico nella storia della moda – ad avere dei contratti “lifetime”, a vita, con queste firme; e come un Papa era celibe, privo di quelle figure di fidanzati-manager tipiche (Giammetti per Valentino, Galeotti per Armani, Bergé per Saint Laurent). Aveva un potentissimo assistente al soglio, Sébastien Jondeau; e perfino un gatto molto amato, da cui non si separava mai, Choupette, come Leone XII col suo Micetto.
Con Anna Venturini Fendi (foto LaPresse)
Con Anna Wintour
Con Vanessa Paradis
Con la principessa Carolina di Monaco
Con Giorgio Armani
Con Richard Gere e Cindy Crawford
Con Gianni Versace e Claudia Schiffer
Con Naomi Campbell
Come ogni Pontefice che si rispetti Lagerfeld adorava Roma. Direttore creativo “eterno” per Fendi, ne apprezzava molto la nuova sede, come racconta al Foglio il ceo di Dior Couture, Pietro Beccari (già a capo del marchio romano). “Aveva sempre adorato l’Eur, e diceva che secondo lui era il quartiere più bello del mondo. Così fu entusiasta quando Fendi restaurò il palazzo della Civiltà italiana, e vi fece il suo quartier generale”, spiega il manager. Lagerfeld aveva un grande ufficio al sesto piano del Colosseo quadrato (così lo chiamano i romani, è quello dei Santi, poeti e navigatori). “Arrivava a Ciampino con un volo privato, la mattina, talvolta col gatto Choupette, e ripartiva la sera. Altrimenti, se aveva qualche serata in città, dormiva a Palazzo Fendi”, l’hotel-ristorante dalle parti di via del Corso. “Siccome sapevo che era un maniaco dei dettagli gli chiedemmo di testare l’albergo, in particolare i materassi, che lui pretendeva morbidissimi, e le luci, di cui voleva gli interruttori molto vicini alla testata del letto”. “A Roma era stato entusiasta della sfilata realizzata su una passerella sopra la fontana di Trevi nel 2016, per celebrare i novant’anni del marchio. Diceva che nessun altro ha mai avuto questo privilegio”, racconta Beccari.
Ma in un’altra epoca a Roma Lagerfeld ebbe casa. “Un appartamento su due piani”, racconta al Foglio Massimo Zompa, interior designer romano che la progettò. “A vicolo del Divino Amore. La facemmo nel 1989, era una casa tutta in stile Luigi XVI. Al primo piano c’erano un ingresso, un salone con una grande libreria, due camere per gli ospiti; al secondo la sua grande camera con un letto a baldacchino. L’ispirazione era villa Medici. Lagerfeld mi faceva mandare dagli assistenti dei libri d’arte con degli scarabocchi di ciò che voleva. Era molto chiaro a riguardo”. Tra i dettagli di quella casa all’epoca molto celebrata, “una scala a chiocciola che dalla camera da letto padronale scendeva al bagno”, e “dei frammenti del mantello di un altro re francese, Luigi XIV, incorniciati, che aveva comprato non so dove”. La casa, racconta l’architetto, era perennemente illuminata di candele “Opopanax Diptyque, una trentina”. Tra quelle candele fu per poco Jacques de Bascher de Beaumarchais, aristocratico dalle origini nebulose almeno quanto quelle di Lagerfeld (era detto dai nemici scettici “de bon marché”): fu una favolosa figura di dandy baffuto che Lagerfeld e Yves Saint Laurent si litigarono a lungo tra psicodrammi, cocaina e tranquillanti. Il favorito morì quello stesso anno, nel 1989: in tempo per lasciare un fantasma che si disse eterno nel suo Papa tedesco, e leggendari ricordi anche in una città notoriamente poco impressionabile come Roma.
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