La difesa del pianeta? Meglio un abito haute couture a meno di duecento euro
Giambattista Valli presenta la sua capsule collection creata per H&M. Le signore della nobiltà romana (e non solo) conquistate dal poliestere e dalle finte pellicce
Chiara Ferragni
Miriam Leone
Sofia Carson
Chris Lee e Giambattista Valli
La consacrazione definitiva delle capacità sartoriali di Giambattista Valli, sarto prediletto dalle giovani-e-ricche-e-belle di tutto il mondo da quasi vent’anni (déjà vu, guarda come passa il tempo), è arrivata ieri sera, alla Galleria Doria Pamphilj sotto i Claude Lorrain e i dipinti dei Romano magistralmente ignorati dalle influencer, in occasione della sfilata per la capsule collection che ha creato per la massima interprete del fast fashion, H&M. Una cosa, infatti, è fare haute couture con i mikado di seta, i crepe di lana finissima e i colori meravigliosi delle cartelle dei grandi tessutai; un’altra fare moda bella e seducente con tessuti privi di corpo o che, all’opposto, ne hanno troppo, perché la componente sintetica li mantiene rigidi oltre il consentito e dunque i famosi abiti da sera in tulle a balze “signature” dello stilista “dalla collana di perle” finiscono per assomigliare un po’ a quelli delle Barbie.
Però, bravo Giambattista Valli, anzi bravissimo, perché la collezione, molto ricca, funziona benissimo, è tagliata da bravi sarti e già immaginiamo il suo corpo-a-corpo con la multinazionale svedese per ottenerli, e se pure i rossi sono davvero troppo accesi e la parte maschile sconta un po’ la sua scarsa dimestichezza con la moda maschile e una certa vaghezza nei riferimenti storici (davvero, non si può imbastire un’intera conferenza stampa sull’inclusione e la diversità e l’amore per il mondo e poi vestire senza una parola di spiega anche ironica i ragazzi con certe marsine ricamate che paiono scese dal ritratto di Metternich o dai dipinti dei governatori delle colonie francesi dei primi dell’Ottocento: si può ancora contare sull’ignoranza degli influencer orientali, ma non durerà per sempre).
E qui si impone una seconda considerazione, derivata dalla prima: la difesa del pianeta, la salvaguardia dei mari, i moniti di Greta e il suo faccino corrucciato funzionano fino a quando non si propone al mondo ricco e abituato a spendere l’opportunità di entrare in possesso di un abito in stile haute couture a meno di duecento euro. Che lo faccia un’altra svedese come H&M suona quasi una beffa del destino.
Ieri sera, allo store di via del Corso eccezionalmente aperto in tarda serata perché gli ospiti potessero acquistare i pezzi più pregiati della collezione con un anticipo di due settimane sulla sua messa in vendita e mentre Gucci comunicava al mondo di aver piantato a Milano duecento alberi per riequilibrare le emissioni di Co2 dell’ultima sfilata (energia elettrica a parte, eravamo in tanti, abbiamo respirato come le mandrie laggiù nell’Arizona, probabilmente), le signore della nobiltà romana che di solito incontrate a Cortina in cioce di lana cotta e furlane di velluto radical chic si accapigliavano per i top di poliestere con il davantino a fiocchetti e gli abiti stampati a fiori, tutti una balza, sui quali Valli ha costruito le proprie fortune, e senza mai guardare l’etichetta di provenienza del capo (molti, dalla Bulgaria).
Ilary Blasi, in stivali pitonati beige a tacco alto, seguita dalle commesse adoranti, ha comprato tutte le giacchette di finta pelliccia su cui ha potuto mettere le mani, e poi valle a spiegare che il pelo sintetico magari non ucciderà direttamente gli animali, ma accidenti quant’è difficile da smaltire. Rispetto alle tante collaborazioni griffate messe in atto da H&M negli ultimi quindici anni (quella con Karl Lagerfeld fu la prima, quella con Alber Elbaz ai tempi di Lanvin fu amata almeno quanto lo sarà questa, la partnership con la stylist Anna Dello Russo fu di certo la più divertente) questa ha il vantaggio di superare l’ultimo tabù, la haute couture, di “franchir la porte” della suprema eleganza come direbbero i francesi, ed è quello di cui la multinazionale svedese ha più bisogno in questo momento.
Il ciclone della nuova coscienza etica, soprattutto da parte dei giovani, ha rischiato di travolgere anche H&M che infatti solo nell’ultimo trimestre, e dopo aver intrapreso azioni concrete, aver fatto un po’ di lobby con la sottoscrizione del Fashion Pact proposto all’ultimo G7 e iniziative di comunicazione importanti per contrastare le vendite in calo degli ultimi due anni e la chiusura di molti negozi, ha visto nuovamente utili in crescita, addirittura del 25 per cento nel terzo trimestre, e vendite anche online interessanti. Alla conferenza stampa, l’argomento sostenibilità non è mai stato toccato o, per meglio dire, è stato abilmente sviato dallo stesso Valli, che a chi gli chiedeva di ambiente ha risposto tranchant come la difesa del pianeta si attui anche non producendo troppo e conservando i capi che si possiedono: un ovvio invito non a smaltire il magazzino di H&M, da sempre uno dei punti deboli del suo modello di business, ma ad acquistare la sua collezione e a tenerla nell’armadio come un trofeo. Per procurarsela, la notte fra il 6 e il 7 novembre, si metteranno in fila in migliaia.
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