Per carità, se tutto il mondo del denim diventasse naturale saremmo rovinati. Abbiamo bisogno della chimica: tingere la tela jeans come nel Seicento è impensabile. Il guado è un gioco per l’élite, intellettuale ed economica”, dice all’altro capo del telefono, dalle valli attorno ad Ascoli Piceno dove in quarant’anni ha trasformato una comune in un agriturismo che dà lavoro a una trentina di persone, l’ultimo grande maestro tintore italiano, Alessandro Butta, che è anche uno degli ultimi produttori al mondo, di certo l’unico in Italia, di guado o gualdo, denominazione volgare della isatis tinctoria, una pianta apparentabile al cavolo da cui si estrae la meravigliosa tinta celeste carico del drapeau de la France nel suo modello originale e della bandiera dell’Unione europea. Ottenere, stabilizzare, fissare e uniformare i colori naturali è impegnativo e costoso. Oggi certamente meno, ma non del tutto, rispetto a settecento anni fa. Allora i colori erano appannaggio delle corporazioni, dazi e limitazioni alla loro fabbricazione contemplavano l’esilio a vita e i detentori delle ricette per fabbricarli e commercializzarli erano talmente ricchi da dare origine a figure retoriche ed episodi storici: la cuccagna, per esempio, o cocagne in francese, indicava il panetto di guado, ed è noto che quando re Carlo V catturò Francesco I durante la battaglia di Pavia, nel 1525, fu un commerciante di guado della Linguadoca, tale Pierre de Berny, a farsi garante per il riscatto. Voleste comprarla adesso, una tinta naturale costerebbe dai 50 ai 500 euro al chilo, quando il più impegnativo dei coloranti chimici, ormai prodotti quasi esclusivamente in Asia, dove hanno sede le stesse aziende tedesche che diedero vita al business della chimica tintoria attorno al 1840, non supera i trecento. Eppure, o proprio per questo, nel giro di poco tempo quei colori sui quali si sono dannate almeno quaranta generazioni di pittori e si è costruita la fortuna di nazioni e gruppi di interesse (la famiglia di Piero della Francesca, per citarne una, controllava da Sansepolcro tutta la filiera del guado nel centro Italia, avete presente il magico blu, fra l’indaco e il turchino, dell’abito della Madonna del parto?) stanno diventando la frangia estrema, la prova ultima e definitiva della cultura sostenibile. Più si è high tech, più si ha bisogno della natura; più si è cosmopoliti, più si nutre il sogno e il bisogno dei territori locali.
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