Le sfilate tristi di Milano senza buyer e influencer cinesi (e 100 milioni in meno)
Carlo Capasa (Camera Moda) fa i conti con l’epidemia coronavirus
Milano. Sarà triste non vederli arrivare a Milano, per le sfilate di febbraio, i colleghi delle testate cinesi che si cambiano di continuo per scattarsi selfie, seduti nelle prime file. Desolante non veder apparire gli influencer supercreativi di Pechino, Shenzhen e Wuhan da cui abbiamo capito il senso ultimo di certe sneaker grosse come carrarmati che non riusciamo a farci piacere e la ricomparsa improvvisa delle tiare – essere passati dal feudalesimo alla dittatura all’enrichissez vous modello Louis Philippe senza essersi mai fermati sulla casella della democrazia fa andar pazzi per corone e affini. Eravamo certi che le sfilate e le presentazioni di Milano Moda Donna inverno 2020-2021, in apertura il prossimo 18 febbraio, sarebbero state disertate da buyer, stampa e instagrammari cinesi causa chiusura dei collegamenti da e per il paese, flagellato dal contagio.
Ieri il presidente di Camera Moda, Carlo Capasa, ha fornito i dati delle mancanze prossime venture, affiancato dall’assessora Cristina Tajani che giorni fa è andata con Beppe Sala a far colazione in un ristorante cinese di via Sarpi, tanto per segnalare alla cittadinanza che di Colonna infame ce ne è bastata una. All’appello di passerelle, alberghi, ristoranti, bar, locali, alle prossime sfilate mancheranno circa un migliaio di persone. Non pochissime, ma neanche un numero esiziale per il sistema, visto che la moda milanese ne muove circa 25 mila, in arrivo da ogni parte del mondo. I problemi arrivano piuttosto dai fatturati mancati, di cui si hanno già avute le prime avvisaglie nei giorni del Capodanno cinese. Si è fermato perfino l’ecommerce; secondo i primi calcoli effettuati dalla Cina, le vendite sono diminuite del 5 per cento. Le fabbriche sono ferme, distributori e negozi pure; nessuno esce di casa, nessuno consegna.
I riflessi dell’epidemia sulla moda, e sul Made in Italy dell’abbigliamento, dovrebbero aggirarsi sui 100 milioni di ricavi in meno nel primo trimestre 2020, calcolati su un fatturato globale pari a 90 miliardi di euro. Ma i problemi non derivano solo dall’epidemia; rappresentano piuttosto la sommatoria di molti fattori, che si sono sviluppati in poche settimane: l’inasprirsi delle relazioni Iran-Usa, il piano Trump per la Palestina e lo stallo della crisi libica; il delicato inizio della fase finale dei negoziati sull’accordo Brexit. E dire, sospira Capasa, che il 2019 si era concluso meglio del previsto. A dicembre, la percezione sulle prospettive economiche era addirittura migliorata: mentre gli indicatori anticipatori sull’economia cinese segnalavano una espansione per il 2020. Poi, è arrivata la mutazione genetica inattesa.
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