Un modello Emporio Armani in passerella durante le sfilate della Milano Fashion Week 2020 (foto LaPresse)

Cosa succederà alla moda italiana quando l'emergenza coronavirus sarà finita?

Fabiana Giacomotti

Per Mario Boselli, presidente dell’Istituto Italo Cinese e presidente onorario della Camera Nazionale della Moda, dopo la crisi di primavera, potrebbero riportare la produzione entro i confini nazionali abbandonando la delocalizzazione

E quando tutto questo sarà finito, dice Mario Boselli, presidente dell’Istituto Italo Cinese, presidente onorario della Camera Nazionale della Moda e imprenditore molto legato alla filiera del tessile import-export fra i due paesi, le imprese nazionali del settore avranno imparato a non fare riferimento alla sola Cina e ai suoi paesi satelliti per l’ approvvigionamento di tessile e manifattura moda, e a mettere in pratica, giocoforza, il famoso reshoring, cioè il rientro della produzione entro i confini nazionali, di cui finora hanno quasi esclusivamente parlato.

 

Dopo il primo momento di choc e il vero rimbalzo su ordini e vendite, che si vedrà tutto nel secondo trimestre, dall’epidemia di Covid-19 potrebbe dunque e addirittura venire del bene per le imprese e i dipendenti del tessile moda italiano; certo, con una marginalità molto più bassa per chi, e sono ancora tanti, in questi anni ha sventolato la bandiera del made in Italy e della garanzia sulla filiera produttiva continuando a delocalizzare grazie a leggi comunitarie molto lassiste. Secondo le prime proiezioni a cui accenna Boselli, per il settore governato da Confindustria Moda il primo trimestre dovrebbe chiudersi in linea con le attese (“Sono le code del 2019, che è stato sostanzialmente positivo”): il dramma andrà in scena da marzo in poi, quando si tireranno le somme sui mancati ordini di questa tornata di sfilate priva di buyer cinesi e in cui i pochi influencer di evidente origine asiatica vengono ad ogni buon conto scansati all'ingresso, non si sa mai. Dalla primavera inoltrata si capirà quanto lavoro è andato perso: stime ufficiose parlano con una riduzione di almeno il cinquanta per cento delle attività sulla filiera tessile a monte.

 

Eppure, volendola vedere con il don Abbondio manzoniano, chissà se questo scossone non rivelerà il proprio lato positivo, con il coronavirus che certo è un gran flagello, ma chissà quali soggetti spazzerà via. E dopo, osserva Giorgio Armani, bisognerà ricostruire il desiderio, riportare tutti nei negozi, davanti al computer sui siti di e-commerce. Al momento, tutti i negozi del lusso italiano e internazionale in Cina sono chiusi, ma sembra scemata anche la voglia di fare acquisti da casa. Bisognerà far rinascere la voglia di vedersi belli ed eleganti. E sarà il momento più delicato.

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