dietro le quinte
La vendita promozionale di Hermès è la miglior lezione possibile di marketing
Si sa che il lusso non pratica sconti, tantomeno organizza svendite. Eppure una volta all'anno, in una sola città nel mondo, anche il lusso può permettersi di rendere evidente che la brama di possesso è saldamente connaturata alla natura sociale dell’uomo
Tutte le ragioni per le quali la brama di possesso appare saldamente connaturata alla natura sociale dell’uomo e i sottili distinguo sul concetto dell’abolizione della proprietà borghese un sofismo per cattedratici erano in fila poche ore fa in via Savona, ex caposaldo della Milano operaia e volontaristica di Moisé Loria e Rosa Genoni assurto alla gentrificazione del design, dove si sta tenendo, in via riservata per grandi clienti, direttori e critici di moda e stile ancora per qualche ora, poi aperta per tutto il week end a chiunque si sia registrato sul sito comunicato anche a mezzo di cartelloni pubblicitari, la vendita promozionale di Hermès. Il che, scritto in questi termini e senza spiegazioni, sarebbe un ossimoro.
Hermès, benchmark di ogni lusso possibile per ogni concorrente e in pratica per chiunque, notoriamente non pratica sconti, tantomeno organizza svendite; aprite qualunque manuale di marketing dei beni di lusso e lo troverete scritto a chiare lettere: il lusso non svende e il suo marchio di riferimento, che risiede in Faubourg Saint Honoré a Parigi, di questa strategia ha fatto una religione a cui chiunque, appena può permetterselo, aderisce. Zero sconti da Bottega Veneta, niente svendite da Gucci dal momento dell’arrivo di Marco Bizzarri sulla poltrona di ceo e della riqualificazione del marchio, eccetera eccetera, sostanzialmente per tutti o quasi. Tutto inconfutabile. Tranne una volta all’anno, in una sola città del mondo a turno, dove quello che si è sbirciato nelle vetrine molto giocose e colorate di Hermès, pelletteria esclusa si intende e soprattutto la Birkin, l’unica borsa a cui siano stati dedicati dei romanzi e nemmeno mal scritti, viene messo in vendita con uno sconto medio del 60-70 per cento.
Quest’anno, dopo un tempo che qualcuno calcola in un decennio, è toccato a Milano, la città che come New York non dorme mai ma perché deve comprare moda e tutto sommato è bello vedere che continui a farlo. Carré, cravatte, oggetti per la casa, abbigliamento, calzature e le coperte di alpaca, cashmere e merino alte due dita. L’inaccessibile (quasi) accessibile perfino in tempi di Covid che, infatti, credevamo avrebbe limitato l’assalto. Ci sbagliavamo. Hermès batte Covid 2 a 0, e questo nonostante il numero chiuso, la prenotazione obbligatoria, la misurazione della temperatura e la disinfezione, l’ingresso scaglionato, le doppie mascherine di quasi tutti, la falange di guardie nerovestite, le corsie delimitate da nastri e divisori come negli aeroporti, il limite imposto di quattro pezzi per tipologia per evitare l’accaparramento e soprattutto la proibizione assoluta di scattare fotografie, e questo non perché il set non fosse stato studiato al millimetro, cassettiere di lacca e venditrici con felpina arancio, poco trucco e capelli raccolti comprese, ma per evitare che gli oggetti fossero smerciati in qualche modo al di fuori del percorso e dei nomi stabiliti.
Apertura porte prevista alle dieci del mattino, la prima cliente si era già messa in fila alle 8 e 5 e controllava che nessuno barasse e soprattutto che si tenesse a distanza: la vigilanza assoluta senza neanche il bisogno di vigili. Il sindaco Beppe Sala che non riesce a farne uscire mezzo dagli uffici di piazza Beccaria dove stanno tutti trincerati, protetti dagli ultimi accordi sindacali, d’ora in poi sa dove rivolgersi: alla lista clienti di Hermès. Chiara Ferragni disciplinatissima, tutta un sorriso. Le altre ma anche gli altri, meno visibili e presumibilmente molto meno intelligenti di lei, visibilmente in ansia. Molte screpolature nell’educazione formale, per qualcuna mandata a mente molto di recente, amicizie dimenticate nella rogna del paragone fra censo a cultura, fra denaro e status (“ah, ci sei anche tu?”), molti autisti nei pressi pronti a soccorrere la signora nel momento del bisogno; qualcuno caritatevole, altri sprezzanti a mezza bocca, uno accanto all’altro a gambe larghe e con l’auricolare, contro quella “che oltre a me medesimo ci ha pure il giardiniere e la cuoca”, ma senza acredine, perché al milanese i padroni, i sciuri, dopotutto non dispiacciono. Ne ha bisogno e se li tiene, come faceva il Porta, dopotutto, che poi andava a lamentarsi dall'amico calzolaio eccelso. Sanculottismo da conversazione, all'acqua di rose, anzi, d'arancio Hermès.
Alla Scala