La moda per la moda come atto punk e borghese

La collezione Valentino sfila in diretta streaming dal Piccolo di Milano. Pierpaolo Piccioli fa approdare la maison sulla sponda perigliosa ma molto entusiasmante dell'anarchia estetica

Fabiana Giacomotti

Anche al netto delle dame risorgimentali che sfoggiavano alla Scala il cappello dei briganti calabresi per mostrare tutto il loro disprezzo agli austriaci, la moda è stata gesto teatrale e di rottura e lettura politica in molte occasioni nell’ultimo secolo e mezzo: pensate al Futurismo col suo Manifesto o al Train Bleu di Jean Cocteau o al primo punk di Vivienne Westwood “Let it rock”, o ancora al movimento pro-sostenibilità Fashion Revolution e perfino, e lo diciamo con un certo sconforto, all’estetica post-sovietica del collettivo Vetements, che avrebbe dovuto essere la nuova frontiera della moda e che invece si è risolto nella stessa estetica perseguita, con maggior successo però, da Lidl.

   

In ogni caso, e per tornare alla dimensione socio-politica della moda, sempre troppo trascurata, abbiamo visto molta coerenza nella scelta di Pierpaolo Piccioli di far sfilare la collezione Valentino in diretta streaming dal Piccolo di Milano – Teatro d’Europa, e ancor maggiore serietà nella scelta di raccontare la moda come gesto. Come “Atto” d’imperio, sartoriale e artistico, che è anche il titolo di questa collezione inverno 2021 dove il tema di un nuovo inizio si legge ovunque e dove, finalmente e dopo anni di storytelling generalizzato, si torna alla moda per la moda. “La narrativa deve essere la collezione stessa”.

   

Piccioli ha ormai e del tutto mano libera in Valentino e si vede: non dimentica i “codici della maison”, che conosce e pratica da vent’anni, ma li trasforma in una collezione per giovani passionali, diciamo in uno Sturm und Drang terzo millennio o in un punk immerso nell’eleganza formale, che non significa meno dirompente, ma solo più curato, più pensato e meno casuale. Il punk borghese. Si cambia, ma soprattutto si taglia: accompagnate dalla voce magica di Cosima e dall’Orchestra La Verdi, sfilano due sole silhouettes ma molte sovrapposizioni fra maschile e femminile nelle giacche-cappe dalle maniche aperte come ali, nei molti intarsi e intagli che da lontano appaiono come superfici piatte ma che da un’osservazione ravvicinata acquistano una bellezza complessa e a rilievo, vedi i budellini di seta che formano riquadri e losanghe sui caban.

 

Molta enfasi, e non poteva essere altrimenti visto un successo che si ripete ormai da un decennio, sugli “stud”, le borchie: siamo pronti a scommettere che le nuove décollétées color nudo dalla punta borchiata saranno le calzature più vendute e anche quelle più copiate dal mass market. Gioco di contrasti, come nella moda under-venti che vediamo per strada, ma con la sapienza di un atelier: gonne corte e mini dress, tacchi alti e gambe nude o stivali combat ma lavorati con petali di fiori a rilievo. Tutto bianco o nero e senza mai guardare alla grazia un po’ leziosa, certamente adulta, della celebre “collezione Hoffman” presentata a Roma nel 1989 dal fondatore Valentino Garavani.

 

Dopo molto lavorare, Piccioli ha fatto approdare Valentino sulla sponda perigliosa ma molto entusiasmante dell’anarchia estetica. “Lavoro alla memoria, ma senza nostalgia”, dice nella conferenza post-sfilata in teatro, narrando delle speranze riposte in “una generazione nuova”: quella di sua figlia Benedetta, laureata alla Sapienza in Letteratura inglese con obiettivi di dottorato di ricerca, modella per divertimento; quella dei ragazzi avidi di vita e di socialità dopo un anno di pandemia, a cui questa collezione guarda in ogni dettaglio, individuando anche un aspetto – la consapevolezza del proprio corpo- che la generazione più adulta, la nostra, fatica a riconoscere. O, forse, teme. 

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