Ferragamo, l'avvicendamento al vertice e la genialità perduta
Il presidente Ferruccio lascerà il posto al fratello minore Leonardo, in uscita anche il direttore creativo Paul Andrew. Per la storica azienda è una fase delicata, con l'ultimo bilancio in rosso di 62 milioni di euro. Tra errori di management e occasioni mancate
Fine febbraio, sms di verifica, e non all’ufficio stampa che in Ferragamo è efficientissimo, educatissimo e competente ma assomiglia molto agli uffici “stoppa” dei bei tempi andati: “Scusa, mi risulta che ci siano dei grossi cambiamenti in corso, soprattutto all’ufficio creativo. Confermi? Possiamo parlarci?”. Silenzio. Tre settimane fa, incontriamo il signore in questione in via Montenapoleone, a Milano. Parliamo di salute; la sua. Svicola. Quando, tre settimane fa, vediamo la messe di interviste video al direttore creativo Paul Andrew sui siti di alcuni quotidiani, pensiamo di esserci sbagliate. L’ultima collezione non è certo allegra, non capiamo bene a chi siano destinati tutti quei vestiti in pelle che una giovane non vorrebbe e non potrebbe comunque permettersi e che una signora non vorrebbe parimenti perché di solito mira a sembrare più giovane e quei vestiti non la aiutano a raggiungere lo scopo, ma insomma se c’è tanto sostegno per Andrew, ex designer di scarpe promosso alla direzione dell’abbigliamento da un paio di anni, un motivo ci sarà.
E invece avremmo dovuto ricordare che la famiglia Ferragamo, elegantissima e di bell’aspetto, si muove esattamente come i de’ Medici: ti carezzano con la stessa mano con cui ordinano il tuo esilio. Per cui, quando hanno iniziato a girare le prime voci serie sull’uscita del direttore creativo, e sul ritiro del presidente Ferruccio Ferragamo, ci siamo detti che certi silenzi andrebbero davvero presi come conferme, anche se la società in questione è quotata e dunque la cautela è d’obbligo. In estrema sintesi, le cose stanno così: conclusa entro maggio la nuova collezione, la pre-spring 2022, Andrew lascerà l’incarico, mentre il prossimo cda del 22 aprile ratificherà l’uscita di Ferruccio Ferragamo e la nomina del fratello minore Leonardo - proprietario dei leggendari cantieri Nautor Swan da qualche anno riuniti nella holding SaWa, che controlla le sue proprietà personali - alla presidenza del gruppo di famiglia. Secondo indiscrezioni di BoF, dovrebbe uscire anche Giovanna, mentre uno dei figli di Ferruccio, James, dovrebbe assumere nuovamente delle cariche all’interno del gruppo.
Entreranno in consiglio tre membri indipendenti, fra cui Marinella Soldi, ex media executive di Discovery, presidente della Fondazione Vodafone, mentre resteranno inalterate le cariche di Micaela Le Divelec Lemmi, amministratore delegato, e soprattutto di Michele Norsa, vicepresidente esecutivo, richiamato a Palazzo Spini Feroni poco più di un anno fa, dopo averne guidato le sorti per un decennio e gestito l’ingresso in Borsa nel primo decennio Duemila. Da molti anni, e in particolare dalla scomparsa della straordinaria capostipite Wanda Ferragamo, nel 2018, l’azienda è oggetto di voci di cessione talmente regolari che ormai nessuno vi fa più caso. Di sicuro, però, e non solo a causa della congiuntura, che ha portato nell’ultimo bilancio a una perdita record di 62 milioni di euro, peggior performance da dieci anni, con vendite scese del 33 per cento a 916 milioni di euro, è da tempo che nel settore ci si domanda come l’azienda, che ha una storia meravigliosa e potenzialità immense, non riesca a districarsi dal nodo gordiano in cui si è, ahinoi autonomamente, avvinta. Avemmo un’ulteriore riprova di quanto forte fosse stretto, questo nodo, quando assistemmo alla prima visione del docufilm di Luca Guadagnino “Ferragamo, the shoemaker of dreams” all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Guadagnino non è mai stato nei nostri cuori, ma non conosciamo alcun cineasta, nemmeno pubblicitario, che avrebbe intervistato tutti, e intendiamo tutti, gli eredi Ferragamo, persino i nipoti che parlavano del nonno per sentito dire, trasformando un film in teoria piacevole, ricco di documenti anche visivi importantissimi sulla Hollywood degli Anni Venti, in un collettivo di ricordi sparsi lungo due ore da cui i critici iniziarono a uscire dopo i primi quaranta minuti. Una di loro, la più brava di tutte e dunque sapete bene chi sia, ci inchiodò la sera sul lungomare: “Ma li ha intervistati pro quota?”. Nessuno vi scriverà mai quel che stiamo per scrivervi noi, ma la verità è che se i Ferragamo riuscissero a marcare un po’ meno stretto il loro marchio, se sapessero affidarsi davvero e di comune accordo al team di manager eccezionali che hanno in casa, forse le cose potrebbero ancora cambiare, e lo spettro della vendita non si farebbe sempre più vicino. Quando pensiamo all’incredibile carica di innovazione che Salvatore Ferragamo riuscì a imprimere non solo alla propria, ma alla moda mondiale, alle straordinarie soluzioni tecniche e di stile delle sue calzature, viene da domandarsi come sia possibile che quella carica non sia riuscita a rimanere inalterata, anzi ad arricchirsi, fino a oggi, come meriterebbe.
Di certo, non è bastata a garantire il rilancio la linea di borse “Studio” di Andrew, pure osannata dalla critica: l’azienda perde terreno da quasi sei anni. Di quel noioso docufilm, ci è rimasto però impresso un racconto di Leonardo Ferragamo sul padre: disse che poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, dove avrebbe peraltro rischiato di perdere tutto, inventò dei rifugi antiaerei molto sofisticati. Ne mostrò anche il disegno. L’avremmo scambiato per un progetto di Canova. Ecco, quel lampo di genio, quella capacità di capire lo zeitgeist senza dimenticare quello originario, è quello che manca al marchio Ferragamo. Manca il guizzo del genio.
Alla Scala