I Verdi: la sostenibilità nella moda è troppo importante perché il governo la trascuri
In seguito all'inchiesta sulla sostenibilità nel settore della moda, pubblicata sul numero uno del "Foglio della Moda" giovedì primo aprile 2021, ci risponde la Federazione dei Verdi (FdV)
Il settore della moda in Italia vale molto di più dell’1,2 per cento del pil, in rapporto ai 71,1 miliardi di fatturato del 2019: la moda per noi è sinonimo di qualità, di ricerca, di cultura, di tradizione; è un settore virtuoso che, tra mille difficoltà legislative, normative, burocratiche, cerca di attuare quella transizione ecologica per ora più dichiarata che praticata dalla politica. È tempo che il governo e ancor più l’Unione europea si facciano carico di promuovere leggi chiare, che consentano alle aziende di essere sostenibili e di ridurre la propria impronta ambientale.
Quello della moda è il secondo settore industriale più inquinante al mondo ed è responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di carbonio, più del totale del traffico aereo e del trasporto marittimo globali assommati. La produzione di poliestere provoca emissioni annue di gas serra equivalenti a quelle di 180 centrali a carbone: se non si interverrà in fretta si prevede che tali emissioni potrebbero raddoppiare entro il 2030.
Ma non si tratta solo di emissioni di CO2: i tessuti sintetici, derivati dal petrolio, rappresentano un pericolo per la salute delle acque e dei mari a causa della microplastica rilasciata. Per contro, anche alcuni i tessuti naturali hanno spesso un impatto molto pesante sull’ambiente: si pensi all’enorme consumo di acqua delle piantagioni di cotone o agli allevamenti intensivi per la produzione della lana. A tutto ciò si aggiunge un problema sociale, di diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, che devono essere tutelati più di quel che attualmente avvenga.
Non ci rassicura il fatto che l’Ue abbia affidato tramite bando ad un’associazione, la Sustainable Apparel Coalition, composta da 250 aziende della moda mondiale tra le quali vi sono quelle del fast fashion, economicamente molto potenti e spesso meno incentivate di altre a subire severe norme sull’economia circolare e sull’utilizzo di materiali sostenibili, l’incarico di mettere a punto entro il 2022 le proposte per attuare il green deal nel settore della moda.
Più confortante è il fatto che il Parlamento europeo abbia adottato, anche grazie a una serie di risoluzioni proposte dal gruppo dei Verdi Europei, una relazione sul nuovo piano d’azione per l’economia circolare che prevede la tracciabilità, la circolarità, la sostenibilità dei prodotti dell’industria tessile. Inoltre la Commissione Ue sta lavorando per adottare misure tese alla riduzione del consumo dei vestiti a favore di una maggiore qualità e durevolezza dei materiali e si è impegnata a rendere pubblica entro l’autunno di quest’anno una strategia in materia di prodotti tessili sostenibili. A tale proposito auspichiamo che venga tenuta in considerazione una richiesta alla Commissione presentata da Elonora Evi, eurodeputata dei Verdi Europei, e firmata da altri 52 europarlamentari, a sostegno dell’appello di 70 organizzazioni della società civile, che chiede che venga rivista l’intera filiera del settore tessile al fine di ridurre i danni ambientali e sociali da essa provocati.
Insomma, la strada è aperta ma, se nel 2050 dovremo essere carbon neutral, le azioni da intraprendere sono ancora molte sia in Europa che in Italia e dovremo agire senza perdere altro tempo.
*Elena Grandi è co-portavoce della Federazione dei Verdi
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