Il Foglio della Moda
Contraddizioni: sì alle borsette no alla Borsa
«Se compri i capi d’abbigliamento di un’azienda che ti piace e ti dà fiducia, perché non compri anche le sue azioni?» - per passare dal portafoglio al portfolio serve solo un po' di fiducia
Alida Carcano è capo degli investimenti di Bg Valeur, boutique finanziaria che ha fondato nel 2009 a Lugano e di cui ha ceduto il controllo a Banca Generali due anni fa. È, in pratica, un gestore (questa professione non è ancora declinata al femminile) di risparmi, grandi, e piccoli, ed è una che si appassiona alle storie delle aziende. Ci entra dentro, per capire se valgono il portafoglio dei suoi clienti ma anche per catturare le nuove tendenze, e la moda è un suo pallino. Racconta che quando incontra una signora disposta a spendere cifre consistenti per borsette, scarpe e soprabiti griffati chiede sempre: «Se compri i capi d’abbigliamento di un’azienda che ti piace e ti dà fiducia, perché non compri anche le sue azioni?». Capita che si senta rispondere che di queste cose si occupa il marito. «Ma io insisto, perché mi piace l’idea di una donna che curi il suo aspetto ma che sia anche autonoma nelle decisioni di investimento e propensa ad accrescere i suoi risparmi scegliendo un settore in cui si può identificare come in nessun altro».
La moda può essere, dunque, un mezzo per avvicinare le donne ai mercati finanziari? «Certo, ma non è semplice per due motivi: la propensione al rischio è in media più bassa rispetto a quella degli uomini e le aziende di moda e lusso quotate in Borsa in Italia sono un numero ridotto nonostante il settore sia trainante per l’economia nazionale». Secondo una recente rilevazione dell’associazione italiana private banking, su quasi 1000 miliardi di risparmio gestito da operatori specializzati, 300 miliardi fanno capo a donne, il 15 per cento in più rispetto alla categoria “imprenditori” e questo, probabilmente, si spiega con le eredità ricevute dalle famiglie di origine.
Certo, come osserva la segretaria generale dell’associazione, Antonella Massari, la percentuale di ricchezza delle donne potrà eguagliare quella maschile riducendo il divario di genere e incentivando l’occupazione femminile, ma 300 miliardi rappresentano comunque un bel tesoro. Come viene impiegato? «Le statistiche sulla gestione dei risparmi ci dicono che solo un quarto viene investito nell’azionario», spiega Carcano. «Quindi, prendendo come base 300 miliardi, stiamo parlando di una cifra non superiore a 70-80 miliardi che queste investitrici destinano a società quotate di cui quelle del settore moda e lusso rappresentano una cerchia ristretta soprattutto nel nostro paese».
Dai dati Bloomberg, in effetti, emerge che la capitalizzazione di Borsa delle imprese del lusso è pari al 2,3 per cento dell’indice Ftse Mib di Piazza Affari (bisogna considerare, però, che Ferragamo, Tod’s e Cucinelli sono quotati su altri indici), contro il 27,3 per cento del Cac 40 (Borsa di Parigi) e il 13,2 per cento dell’Eurostoxx 50 (paniere europeo). «Naturalmente, se si vuole investire nella moda si può farlo su tutti i mercati del mondo, ma chi sceglie di restare in un perimetro nazionale ha davvero opportunità limitate». Qual è l’approccio delle risparmiatrici nei confronti di aziende di moda con donne ai posti di comando? «Di fiducia, non c’è dubbio. Ma non capita spesso di poter dire: questa azienda è gestita da una donna».
In effetti, in Italia la percentuale di figure femminili nei consigli di amministrazione delle imprese fashion è del 21 per cento contro il 43 per cento di un paese diretto concorrente nel settore come la Francia. «In Italia ci sono sempre state più imprenditrici della moda che manager. Da qualche anno una nuova generazione si sta affacciando a questo mondo con caratteristiche in linea con i tempi come quella di gestire il business in maniera digitale, magari partendo da influencer come ha fatto Chiara Ferragni. Sarebbe interessante osservare la reazione delle risparmiatrici se qualcuna di loro si decidesse a fare il grande passo verso la Borsa».
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