voglia di leggerezza
L'uomo deve conservare una sua allure, dice Giorgio Armani
In chiusura delle sfilate di Milano Uomo 2022, il classico vocabolario. Con retroscena, interviste, tendenze
Prada Uomo
Prada Uomo
Prada Uomo
Eleventy
Fendi
Fendi
Brett Johnson
Craig Green x Rockstud X Valentino Garavani
Etro
Etro
Etro
Fendi
Msgm
Msgm
Zegna
Zegna
Zegna
Zegna
Giorgio Armani Uomo
Giorgio Armani Uomo
Giorgio Armani Uomo
E poi, all’ultimo giorno di presentazione delle collezioni uomo 2022, Giorgio Armani esce in passerella tenendo per mano Pantaleo - Leo Dell’Orco, suo collaboratore dal 1977 e responsabile di tutte le linee uomo del gruppo, e capisci che la sua successione, quella su cui il mondo intero dibatte da un tempo un tantino spropositato, è già pronta in casa. Lo dice, anche, a un ristrettissimo gruppo di ospiti, nel padiglione in stile giapponese del giardino di casa, fra centinaia di bambù verdissimi che hanno dell’incredibile visto che siamo nel cuore di Milano e fuori da quel teatrino e quel passaggio per il giardino dove iniziò a consacrarsi la sua fama ci sono 30 gradi. Il signor Armani è reduce da una brutta caduta sulle scale di un cinema milanese (“aveva riaperto tutto, mi sono detto andiamo a vedere un film”); ha rotto un omero, per Milano si erano sparse voci antipatiche. Mostra con un certo comprensibile orgoglio la cicatrice perfettamente chiusa a quindici giorni dall’intervento: “Quello che io vedo suggerito dallo stile del momento è qualcosa che non ha niente a che fare con la moda. Per cui sempre di più mi allontanerò da questo input, che non so da dove viene ma viene. A volte mi sembra di fare poco, per cui dico ai miei 'qui bisogna fare qualcosa, se no le signore non scrivono'. Poi, all’ultima visione della collezione, passo e tolgo, tolgo, tolgo”. Per la prima volta, ha infilato ai piedi dei modelli il modello fra la birkenstock di pelle e lo zoccolo crocs che piace tanto al momento (vedere alla voce suole), ma le linee continuano ad essere nette, precise, eleganti. Evolutivamente classiche. I colori si alternano fra il bianco, il blu, il cielo, i grigi. “L’uomo deve nascere e morire con una certa allure. Sulla donna ci si può anche un po’ divertire, ma con l’uomo non ci si diverte. Bisogna inventare, ma non scherzare. Non voglio fare polemica, ma è inutile che io mi sforzi di fare come gli altri perché sono io”. E qui capisci che il carisma, quando c’è, è più forte del marketing.
Chiusa la riflessione della sera, ecco il consueto vocabolario lessicale delle sfilate.
A come acqua. Tutti in mare, anche vestiti, anche con le scarpe. Un prodigioso numero di pantaloni in popeline, seta, salinizzati per meglio figurare nel tuffo de rigueur del modello nel film della sfilata. Le sfilate digitali uomo di giugno 2020, a primo lockdown concluso da pochi giorni, erano tutte un trionfo di verzura. Con i vaccini siamo passati alla fase due: mare mare voglio annegare. Massimo Giorgetti di Msgm, per maggior sicurezza, ha trasferito, stampato dipinto animali sottomarini su quasi tutti i capi (molto belli i granchi, ma qui si tratta di passione personale). Abbiamo sofferto moltissimo per le meravigliose fibre tessili di ricerca di Zegna finite in piscina a Rho Fiera che fra l’altro, per la prima volta, sembrava un luogo elegante. Non l’aveva riconosciuto quasi nessuno, vedi il vantaggio di una buona direzione della fotografia.
A come Ad augusta per angusta. Celeberrimo detto latino declinato con gran sfoggio di percussioni anche nell’Ernani di Giuseppe Verdi, freudianamente assimilabile alla nascita (passaggio stretto, poi la luce). Da qualche mese il concetto è alla base delle sceneggiature dei film della moda più scaricati e commentati. Gucci due mesi fa, Prada adesso. Dice Raf Simons, che affianca Miuccia Prada alla direzione creativa, di aver cercato “una storia pura, diretta. Un passaggio dagli spazi interni a quelli esterni. Dopo la costrizione, la potenza di quel senso di infinito, di un orizzonte senza fine, ci restituisce la sensazione di libertà. È la natura umana.” Si ridesti il leon di Castiglia.
A come arancio. Orange is the new black. Non solo su Netflix.
C come Camicia. Siamo cresciute con l’immagine di Paul Getty a Marrakech negli occhi dunque sì, le camicie in seta con le code svolazzanti di Etro ci piacciono molto. Non stanno bene solo a Damiano dei Maneskin, ovviamente, però quel fisico asciutto da Dorian Gray è abbastanza una condicio sine qua non per valorizzarle (ci spiace, la body positivity non significa che tutto stia bene a tutti). In ogni caso, le camicie del momento sono ampie e scivolano vezzose dalle spalle.
C come celadon. Per chi non lo sapesse, colore acquamarina pallido derivato da una tradizione della porcellana vetrinata cinese divenuta di moda in Europa con il Preziosismo, cioè all’inizio del Seicento. Fino a oggi usava il verde celadon quasi esclusivamente Giorgio Armani. Insieme con il color salvia, è uno dei colori di tendenza della prossima estate. Su tessuti di cattiva qualità prende subito un’arietta da mercato rionale, per cui funziona solo su tessuti da filati di lusso. Non a caso visto da Brett Johnson.
C come celebrities. In epoca digitale, assistono virtualmente alla sfilata in total look del committente, in modalità totem. Comprendiamo la necessità, immaginiamo siano ben pagati, ci pare piuttosto imbarazzante per tutti.
C come cielo. Abbiamo visto cieli ovunque, molti da Tod’s da cui aspettiamo sempre un deciso passo in avanti, ma nessuno avrebbe saputo interpretare la mutevolezza del cielo di Roma nell’arco di una giornata più di Silvia Venturini Fendi con la sua collezione di linee nette e tessuti aerei. Speriamo molto che il direttore creativo delle collezioni femminili Kim Jones tragga vantaggio dal lavoro già fatto per la prossima collezione estate 2022, senza intestardirsi su quei grigi, quelle biacche e quei colori gessosi che saranno tanto londinesi, ma poco in linea con un brand che sulle shopper reca scritto Fendi Roma e non Fendi Notting Hill.
C come classico. Nota in aggiunta all’incipit dedicato a Giorgio Armani. Dopo aver “voluto rinfrescare l’idea dell’abito” e spiegato che “di sera basta la camicia coordinata ai pantaloni della stessa stoffa, di giorno una giacca tagliata come un giubbotto di denim ma di lana gessata leggerissima, con un tocco di colore improvviso”, aggiunge che il “classico è un modo appropriato di fare le cose”, ed è assolutamente l’aforisma migliore che abbiamo sentito da un po’ di tempo in qua.
C come colpo di fulmine. Mai state fan degli smoking, tanto meno di quella cafonata sesquipedale che sono i matrimoni in smoking (è un capo per serate casalinghe o serata non troppo importante, non da cerimonia, sigh). Però lo smoking in lino di Kiton è una meraviglia assoluta.
D come 2022 (Duemila22). Tutto succederà nel 2022, non lo sapevate? Quest’anno va ancora così così, ma l’anno prossimo si torna a spaccare. Le aziende che possono permetterselo, ovvero le non quotate, hanno deciso di non comunicare i dati di fatturato 2020, che “distorcono la percezione”. Il 2020 sparirà dai libri di economia della moda con le sue perdite medie di fatturato del 30 per cento dette a mezza voce, ma spesso superiori al 60. Ma nel 2022 tutto riprenderà come prima. Il mondo riprenderà a crescere e si farà l’amore ognuno come gli va.
F come film. Una domanda. Ma se il racconto della moda si trasformerà in via stabile in filmato preconfezionato e le televisioni continueranno a ricevere come adesso le immagini da trasmettere in link, potranno esercitare il proprio insindacabile giudizio solo nel taglio e montaggio di qualcosa che chiunque ha già visto online?
F come fibre. Anche antiche, come la canapa che sarebbe ora rientrasse nel novero delle produzioni italiane (abbiamo ceduto alla Cina perfino le vecchie apparecchiature per filarla, accidenti). Come le fibre di Zegna nessuno mai, anche nel progetto di recupero #usetheexisting che ha l’obiettivo di azzerare gli sprechi. Siamo stati rapiti dal misto lana “Bielmonte” che massimizza i motivi geometrici di trama e ordito. Insomma, abbiamo chiesto uno stage per capire meglio.
G come giacche. Sono tornate. Perdono quota le giacchette a vento, che anche se eccezionali danno sempre quell’allure da travet. C’è davvero voglia di eleganza formale, e pure della sua sovversione, tanto che in sfilata non sono pochi gli uomini che le indossano con gli shorts (vedere alla voce) come le it girl del momento (giacca maschile, micro shorts, tacchi). Le giacche più nuove hanno taglio a kimono con allacciatura asimmetrica interno/esterno da Zegna (bellissime, le vogliamo anche noi), coulisse e modularità per avvolgersi e modellarsi sul corpo, quasi in taglia unica (sempre Zegna), spalla squadrata su taglio avvitato (Brunello Cucinelli, modellanti ma leggerissime), dritte e leggermente slim comme il faut (Prada e Fendi), in maglia a righe (Harmont&Blaine).
G come Gucci. Grazie a una società specializzata, che le ha offerto gratuitamente il dato (i fan di un marchio non sono necessariamente modaioli) ha scoperto quante volte sia stata citata ad oggi in brani musicali di ogni genere: 22.705. La cifra si trova trasposta su t shirt e accessori nella collezione per il centenario, insieme con una collezione di borse, calzature, abiti dal gusto hippy-chic più accentuato, presentata a Milano nelle stesse ore in cui a Stresa un manipolo di fortunatissimi clienti esaminava la collezione di 130 gioielli a Villa Pallavicino (tanti, poi, hanno chiesto di essere portati a colazione al Verbano, all’Isola dei Pescatori). Molto apprezzati gli zoccoli in pelle e tessuto canvas col pelo, ma anche la serie di abiti foulard dicono la loro. Si va in scena, cioè in negozio a settembre. “Music is mine, Gucci seats reclined,” (“The R”, 1998, Eric B. & Rakim).
I come invito. Direttamente dipendente dalla P della voce Phygital, l’invito post-Covid sta per diventare il nuovo metro di misura della propria posizione nel sistema della moda ben più dell’indicativo di posto assegnato dei tempi pre-pandemici. Le segmentazioni sono infatti significativamente aumentate, e mai come oggi l’apertura di una busta è fonte di ansie. L’indicazione CET (Central European Time) accanto all’orario indicato, senza indirizzo, significa che si è stati invitati a guardare la sfilata dal proprio computer, cioè l’equivalente della Siberia modaiola, ma se l’invito è accompagnato da un dono vuol dire che qualcuno chiederà conto di un’ eventuale recensione mancata anche se non ha ritenuto necessario riservare un posto in presenza. L’invito scritto a mano dallo stilista resta segno di eleganza. Si dice di gente andata in brodo di giuggiole per quello misto (intestazione e firma a mano, testo battuto su una vecchia macchina da scrivere) di Giorgio Armani che invitava, sostanzialmente, a casa, con il tono dell’anfitrione educato: “Sarei felice di averti tra il pubblico della mia prossima collezione e il posto che ti ho riservato è il numero XXX, ti aspetto”.
L come Luogo comune. In ordine sparso. Il colore arancio, che è sempre “vitaminico”; la “sostenibilità” che non essendo sempre tale, tale viene comunque considerata “perché noi rispettiamo il lavoro delle nostre maestranze italiane” (e ci credo, l’alternativa è una denuncia). E infine il prefisso “super”, che però viene pronunciato all’inglese, “siuper” (è latino, eh? Ed è in calco sul greco ὑπερ- in alcune parole derivate dal latino per via dotta). Il prefisso “siuper” viene disseminato ovunque, in mancanza di altri argomenti. Per favore, trovatene.
M come modelli. Avremmo scambiato per veri e reali i modelli digitali di Philipp Plein, che sono invece il raffinatissimo prodotto digitale sviluppato dallo stilista tedesco con Anthony Tudisco. Continuiamo però a preferire quelli che abbiamo visto fare la fila l’altra mattina fuori da palazzo Orsini per il casting di Armani. Le signore (ma anche i signori) che avevano imboccato la via con passo spedito per recarsi in ufficio, all’altezza del portone indugiavano parecchio.
P come “Phygital is the new exclusive”. Siamo onesti: le sfilate pre-pandemiche, allestite sotto immensi tendoni, circhi massimi, stadi, fabbricone dismesse, erano un incubo per il traffico che generavano in città, per l’inquinamento che producevano (e Gucci che a Milano sta in viale Mecenate giù a piantare alberi per compensare che neanche il Giardino dei Giusti di Yad Vashem), per le misure di sicurezza che si rendevano necessarissime. In più, per quanto si potessero organizzare show-evento, con spettacolo, son et lumières, sempre di una passerella si trattava: modelli che vanno, modelli che vengono. Mentre vuoi mettere il film. Quando Alessandro Sartori, direttore creativo di Zegna, ha raccontato in presentazione che uno show consueto non gli avrebbe mai consentito di esprimere il suo pensiero come il film andato in onda sulla piattaforma di Camera Moda, nessuno ha potuto eccepire. Anche perché questo significa che, entro sei mesi ma lo sono già adesso, le sfilate torneranno a essere quello che erano prima della globalizzazione, e cioè piccoli eventi per qualche centinaio di persone, talvolta divise anche per gruppi. Anche adesso, la “community” mondiale della moda si calcola in una cifra fra le duemila e le tremila persone, ma chi frequenta davvero le sfilate non supera quota cinquecento, tutte che si conoscono fra di loro perché da tempo immemorabile siedono, bevono, piluccano qualcosa, viaggiano insieme. Quando Chiara Ferragni racconta dei suoi primi show e del gelo che la circondava prima degli attuali trionfi, sa di che cosa parla, e probabilmente non l’ha dimenticato. Fra l’altro: che fine hanno fatto le blogger che sembrava avrebbero tolto il lavoro ai giornalisti?
P come pronuncia. Peter Beard si pronuncia bɪərd come barba. Non bɜːd come uccello. Per dire, se vi ispirate al grande fotografo che molto ci manca e di cui conserviamo lettere meravigliose, almeno imparate a pronunciarne il nome correttamente (e non abbiamo visto grande ispirazione, comunque)
S come Seersucker. E’ inutile aver conservato il seersucker degli Anni Ottanta, perché quello della prossima estate pesa circa due terzi in meno anche quando è ricco e importante come da Giorgio Armani. Però, e per il secondo anno successivo, ce n’è ovunque, molto da Eleventy. Bellissimo l’effetto seersucker delle giacche di Slowear, che raggiunge l’effetto con un tessuto tecnico traspirante da abbigliamento sportivo, lavabile in lavatrice.
S come spiagge. Ne scrivevamo sul Foglio online di qualche giorno fa, le collezioni moda uomo 2022 di Milano confermano: il nuovo oggetto del desiderio delle grandi aziende non è la grande città, ma la spiaggia; occupare manu militari le vetrine della boutique del bagno raffinato, brandizzare tende e tendalini, racchettoni e pattini come hanno fatto Etro e poi Dior negli ultimi anni, è l’ultimativo del marketing di tendenza: abbiamo parlato con almeno cinque direttori generali che ci hanno esposto il risiko dell’occupazione delle prossime stagioni. In Italia è desideratissima Capri, e in particolare la boutique del Capri Palace. Eleventy sta mettendo molto impegno sul progetto, Kiton è già piazzato benissimo.
Shorts. Un filo troppo. Siamo tutti d’accordo sul bisogno di sole e di vitamina D, ma l’effetto dei pantaloncini para-inguinali da uomo non è quasi mai dei migliori. Abbiamo sentito qualche stylist pure molto votato alla causa lamentarsi di questa lunghezza che involgarisce le gambe corte e rende emaciate quelle lunghe e magre. In ogni caso, si rende necessario almeno srotolare la rimboccatura. Gli eleganti continuano a portarli appena sopra il ginocchio, come l’orlo degli abiti delle signore.
S come Suole. Da qualche tempo, sono il luogo dell’estetizzazione estrema e possibile anche il maschio metropolitano e fluido. Funziona molto lo stud, la borchia sul bordo, ovviamente da Valentino che ne ha la primazia (la collezione di sneaker sviluppata da Pierpaolo Piccioli con Craig Green è già ai piedi di tutti i direttori, tengono molto a sottolineare di averle acquistate sull’onda di un impulso irrefrenabile), ma anche da Etro che ha sviluppato una divertentissima crasi estetica fra Birkenstock, friulana e sneaker. Abbastanza irresistibili le sneaker leggerissime di Msgm, che hanno l’aria di poter andare davvero in acqua senza rovinarsi, straordinario il gioco estetico delle F sulla suola delle sneaker Fendi.
T come taglio a vivo. Jeans, ma anche maglie e felpe (strepitose quelle intrecciate, stampate e/o dipinte con motivi sotto-marini di Massimo Giorgetti di Msgm: ci hanno ricordato il lavoro pazzesco che fece Danilo Donati per l’Edipo Re di Pier Paolo Pasolini). Non ci convincono invece le cuciture termosaldate che piacciono tanto. Saranno pure high tech, ma a noi a cui piacciono i punti a vista di sartoria, e tutte quelle saldature a caldo sanno tanto di risparmio.
T come Tie and Dye. Ma evoluto. Il ritorno della tecnica di “tintura a riserva” (questo il nome tecnico in italiano) ha l’aria della pennellata del pittore impressionista. Impression soleil levant da Fendi, impression soleil au zénith da Etro, che si conferma anche come uno dei grandi interpreti di quel colore difficilissimo che è il verde e che ci affascina molto ogni volta che lo vediamo trattato come si deve (vedere alla voce celadon), impression après midi da Msgm.
V come vestito (intero). I ragazzi più giovani hanno sostituito lo spezzato con l’abito intero. Sotto indossano t shirt e sneaker, ma badano molto allo stile dell’insieme.
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