il foglio della moda
Vuoi più bene a Fendi o a me?
Da una parte i magazine. Dall’altra i marchi della moda. In mezzo, la generazione Z che crede di poter governare il processo
E ancora una volta c’entra la generazione Zeta, con i suoi comportamenti di acquisto e la sua “dieta mediatica”, come la definisce Vincenzo Cosenza, esperto di marketing dei beni di consumo, che in una recente ricerca ha dimostrato come i nativi digitali attribuiscano maggiore importanza ai contenuti prodotti dagli influencer rispetto a quelli dei mezzi di informazione. Dunque, non c’è da sorprendersi se alcuni grandi gruppi editoriali abbiano deciso di ridimensionare in modo drastico i prodotti cartacei anche quando sono riviste patinate di grande qualità e con una storia alle spalle. "Questi editori si stanno riposizionando su un nuovo target di lettori che non si appassiona ad articoli scritti e foto se non può interagire con gli autori o con i brand come fa sui social network", dice Daniele Chieffi, docente di comunicazione d’impresa all’Università Cattolica: "Non è un caso che l’editoria della moda sia la più colpita da questo cambiamento, che ha a che fare con la visione del mondo e con i valori degli utenti più giovani, generazione Zeta ma anche millennial e fino alla fascia dei quaranta. Questi utenti chiedono ai brand di essere coinvolti direttamente nei processi di comunicazione e agli stilisti in quelli di creazione. Dunque, la perdita di appeal del giornale cartaceo non è semplicemente un fenomeno di tipo tecnologico, ma culturale".
Il cambiamento, che è cominciato all’inizio del Duemila e procedeva a passo lento, ha subìto un’accelerazione inattesa con la pandemia, quando l’accesso alle edicole è stato limitato durante i lockdown. Allora è arrivato il colpo di grazia perché le ultime generazioni non hanno dovuto fare altro che immergersi ancora di più in quello che era già il loro mondo: il web. Per questo motivo Cosenza parla di “dieta mediatica”. Dal sondaggio che la sua società, Buzzoole, ha condotto lo scorso mese di maggio, emerge che il 74 per cento della generazione Zeta ama navigare in rete, il 72 per cento comunicare con le app di messaggistica istantanea e utilizzare i social (66 per cento), ma non disdegna la tv (un inatteso 64 per cento), i libri (57 per cento) e il cinema (52 per cento).
"Per stare al passo con questo mondo – prosegue Chieffi – gli editori si stanno dotando di multipiattaforme che consentono un’interazione continua con gli utenti. E la rivista o il magazine da sfogliare funziona se diventa il complemento di un sistema più ampio e coinvolgente".
Secondo Silvia Castagna, analista e responsabile dei rapporti istituzionali della Doxa, a dati Audipress ci sono ormai sufficienti indicazioni sulle tendenze di consumo da poter ritenere che alcuni modelli di business del settore editoriale siano ormai obsoleti. "Siamo nell’epoca dell’economia senza costi fissi – dice – alcune aziende hanno strutture di costi che risalgono agli anni Novanta: devono per forza alleggerire il personale. E questo è anche l’effetto della crescente disintermediazione del rapporto tra i produttori e i loro clienti. Ne stanno facendo le spese i negozi a vantaggio dell’e-commerce e anche i mezzi di informazione. Tanti giovani, per esempio, non vanno in edicola a comprare i giornali perché fruiscono di notizie in modo gratuito su Internet, ma questo non è molto diverso dal fatto che preferiscano il carsharing o il bikesharing rispetto all’acquisto di un’auto. Sharing economy, insomma, che consente disimpegno e flessibilità".
Seguendo questa logica, si capisce perché i media stiano entrando in diretta concorrenza con i produttori di moda, che cercano il contatto diretto con i clienti-utenti. Qual è il rischio di un rapporto totalmente disintermediato dai mezzi di informazione? Esiste la possibilità che un’intera generazione venga manipolata da logiche di vendita scambiate per nuovi modelli sociali e valoriali? Come osserva Chieffi, "i brand hanno colto al volo l’esigenza di partecipazione di questi consumatori e hanno cominciato a dialogare con loro, spesso con successo, avendo come partner un potente motore di ricerca come Google. Basti pensare che le ultime rilevazioni del Trust barometer di Edelman, che misura la fiducia che il pubblico ripone nelle marche, attribuisce agli amministratori delegati delle aziende una credibilità molto elevata, in alcuni casi anche di più delle grandi firme dei giornali. Il mondo del business sta diventando sempre più protagonista nella creazione di contenuti. Ma attenzione, i rischi di un rapporto con i clienti senza filtri esiste soprattutto nel campo della moda, settore che da sempre fa da canale di trasmissione di valori. Direi che anche aziende e manager hanno una grande sfida davanti che è quella dell’etica e della responsabilità morale nei confronti dei loro clienti".
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