Il Foglio della moda
Chic, ma non strategica. No al golden power per la moda
Il governo lascia fuori la moda dai settori strategici. Carreri (Lca): "C'è stato dibattito in aula, ma per ora resta fuori"
Il settore della moda non è soggetto al golden power, cioè ai superpoteri che il governo Draghi può esercitare per bloccare acquisizioni o operazioni societarie che coinvolgano soggetti esteri. I comparti che fino a poco tempo fa venivano definiti di “interesse nazionale” o di “rilevanza strategica” per il paese sono stati ribattezzati “critici” nell’ultimo decreto, che ha ulteriormente ampliato il perimetro dell’industria nazionale da “proteggere” da incursioni, scalate e vendite: difesa, sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni e intermediazione finanziaria, ricerca e innovazione ad alto contenuto tecnologico, pubblici servizi. Nei sottoinsiemi dei settori “critici” si trova di tutto: imprese dell’agroalimentare, della distribuzione d’acqua, della farmaceutica e del comparto medico e sanitario. Sono soggette al golden power anche le aziende informatiche, quelle che producono intelligenza artificiale, automazione industriale e tecnologie digitali. Stesso discorso per il settore dell’informazione: media audiovisivi, agenzie di stampa, radio, quotidiani e così via.
Se, tanto per fare un esempio, arrivasse un’opa da parte di un soggetto non gradito su Rcs o Gedi, il governo sarebbe autorizzato a intervenire. Il sistema moda, invece, è fuori dai radar del governo. Perché? “Sul punto c’è stato un dibattito in sede politica e parlamentare, ma al momento la moda non è considerata un settore strategico al fine dell’applicazione del golden power”, dice al Foglio Andrea Carreri, partner dello studio legale Lca: “L’unico appiglio normativo che potrebbe essere utilizzato in caso di operazioni ostili o sospette nei confronti di gruppi italiani del settore è se questi detengano dati sensibili di oltre 300 mila clienti, soglia che immagino che per gruppi come Armani, solo per fare un nome, venga abbondantemente superata. In questo caso, secondo una nostra interpretazione della legge, l’operazione potrebbe essere bloccata”. Del golden power alcuni pensano che si stia facendo un uso esasperato (il numero di notifiche di operazioni sensibili agli uffici di Palazzo Chigi è quadruplicato rispetto al 2019), con il rischio di paralizzare l’attività degli investitori esteri in Italia e di precludere a tante aziende la possibilità di accordi o partnership con operatori stranieri, che in alcuni casi rappresentano l’unica via di salvezza dopo un periodo di crisi o la sola strada per crescere. Ma è curioso che un comparto tanto rilevante per la produzione di ricchezza nazionale come la moda sia escluso dal monitoraggio su manovre che possono modificare gli assetti proprietari di aziende che rappresentano il made in Italy in tutto il mondo. Tanto più che il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti non fa mistero di preferire per questo settore fusioni e aggregazioni domestiche al posto di operazioni con gruppi esteri.
Carreri non esclude che in futuro il raggio d’azione del golden power possa essere esteso anche a questo settore e ricorda come tale strumento recepisca una direttiva europea che alcuni paesi come Francia e Germania si è tradotta in una normativa anche più incisiva rispetto alla nostra. Ma per l’industria del fashion sarebbe un bene o un male considerando che il governo può arrivare a imporre un veto alle operazioni di compravendita com’è accaduto la scorsa primavera a una piccola azienda di semiconduttori del milanese che un gruppo cinese voleva rilevare? “Non credo affatto che il golden power possa rappresentare un limite o un freno alla crescita e all’evoluzione del sistema moda”, dice Carreri. “Si sta diffondendo una tendenza contraria alla globalizzazione”, ed è anche in quest’ottica che andrebbe valutata la normativa.
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