La cognizione del colore
Il futuro della moda sarà rosa e opulento (e tutti infatti sfilano a Venezia). Al di là dei drammi mondiali, il sentimento generale è carico di speranza. Una mostra e due trendsetter spiegano perché
Verdi di rabbia, di umor nero, siamo posseduti da una fifa blu che si prospettino tempi grigi e non ce la facciamo a vedere il mondo con le lenti rosa, però sotto sotto confidiamo nell’avvento di una nuova età dell’oro. «Nella società attuale, il colore non è solo una sensazione né un mero attributo delle cose. Il colore è spesso un’idea o un’aspettativa», scrive Riccardo Falcinelli nel bel saggio Cromorama (Einaudi), in cui racconta come oggi le sfumature siano diventate il filtro con cui pensiamo una realtà corroborata e ridipinta anche dalla tecnologia. A cominciare dalla moda, «il cui vero potere arriva quando alcuni designer o brand riescono a imporre una singola tinta o un insieme di tinte che si trasformano in un immaginario».
Insomma, viviamo spalmati su una tavolozza emotiva che si potrà visualizzare in due eventi milanesi: il primo è la mostra Sociocromie. 100 in 25 colori, curata dall’architetto e designer Giulio Ceppi, dall’otto settembre al 14 novembre al Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci. Il secondo è Lineapelle, dal 22 al 24 settembre a Rho Fiera: la più importante rassegna internazionale dedicata ai settori pelli, accessori, componenti, tessuti e modelli per calzatura, pelletteria, abbigliamento e arredamento, giunta alla 40° edizione, che riprende “in presenza”. Vi collaborano, da molti anni, i due consulenti di trend internazionali (un tempo si sarebbero chiamati “cacciatori di tendenze”) Orietta Pelizzari e Matteo Bardi, fondatori dello Studio Mattori, che tra poco presenteranno agli addetti ai lavori le palette per l’inverno 2023. Senza andare così in là, che il futuro mette quasi paura, intanto mandate a mente due parole che il qui scrivente non conosceva finché non ha parlato con i tre vati del colore: “cromonimi” e “glarming”.
Il primo fa parte del lessico di Ceppi, che dall’Armata Rossa alla zona rossa (passando per le Brigate Rosse) ha ritrovato un secolo che si è espresso nelle «parole colorate, spesso usate per concetti differenti come la maglia rosa e le quote rosa, il venerdì nero e l’oro nero, le tute blu e la blue economy, le voci bianche e i colletti bianchi, la squadra azzurra e il Telefono Azzurro: eventi della quotidianità, espressioni, ricorrendo a una gradazione che permette di rappresentare la realtà in modo figurato. Li ho chiamati “sociocromie” perché riflettono il sentire comune in un colore, che è anche un fatto storico, una preferenza culturale, sociale e collettiva», afferma Ceppi. In mostra, venticinque tavole sinottiche, di cui ognuna riproduce un singolo concetto, insieme con l’anno in cui è emerso e il Pantone che ne riproduce l’esatta nuance». E conclude: «Abbiamo tutti chiaro che la Storia non è una somma di fatti oggettivi, ma un racconto. Il colore enfatizza questa dimensione soggettiva, percettiva, sensoriale, della Storia, rendendola più umana, più vicina a noi, più presente e tangibile, proprio come i colori fanno nella nostra quotidianità, aiutandoci a trasformare la realtà. Non crediate al “colore dell’anno” proposte da Pantone, è puro marketing; ciò che è più affascinante dei cromonimi, è che, tranne in pochi casi, non conosciamo gli autori, ma sono risultato di una rivelazione comune».
Sono sempre le emozioni al centro della ricerca di Pelizzari e Bardi, connessi però a un mercato dove sono tra coloro che assistono «aziende medio-piccole, soprattutto italiane, ad aprirsi a un pubblico mondiale». Che tipo di rapporto c’è tra il mondo della moda globale e come azzeccare i colori che andranno di moda, e come si fa ad anticiparli con tanto tempo? «Non è detto che fare una bella collezione in Italia equivalga ad avere successo dappertutto. Io, per esempio, guardo migliaia di video da tutto il mondo, tantissime “scene” di gaming e soprattutto le mostre di arte contemporanea, per estrarne poi la catalogazione delle tonalità che potranno avere più successo», avverte Pelizzari. «Si tratta di intercettare un sentimento diffuso che poi vernicerà l’estetica». E qui entra in scena la seconda parola, “glarming”, che secondo il duo sarà il mantra estetico nell’abbigliamento e negli accessori. Nasce dalla crasi di “glamour” e “farming” - una sorta di sintesi tra l’artificio e la naturalezza - che, a dispetto della nuova emergenza in Afghanistan, dei terrori diffusi da pandemie non ancora domate, dei terrori diffusi da un pianeta che dà segni di grave sofferenza per nostra massima colpa, «porterà voglia di toni tenui come acquerelli, stampe sovrapposte in trasparenza, una sull’altra, che si rivelano nel loro disegno originale solo nel movimento, un’altra cosa di cui consciamente o meno, dopo i vari lockdown, sentiamo un forte bisogno. Del resto, le ultime sfilate di haute couture di Pierpaolo Piccioli per Valentino e di Dolce & Gabbana, tutte e due a Venezia, non solo hanno anticipato quest’appetito cromatico, ma lo hanno territorializzato come profondamente, intimamente italiano», assicura Bardi. «È tempo di neobarocco, di nuova ricerca del Bello: un punto di sicurezza.
Cercare rifugio in un passato utopico e opulento sarà il leitmotiv delle prossime stagioni, sempre più aderenti alla ricerca del vintage: tonalità accese, possono accendere mise in toni profondi, ma sempre connessi alla flora: il marrone dei tronchi, il verde boschivo, anche l’oro rossastro di un tramonto», continua. A lui fa eco Pelizzari, che parla di «una richiesta diffusa di una “lush life”, una vita lussureggiante e rigogliosa come se si svolgesse in un giardino dei sensi. Io vedo due colori uniti insieme, per quello che sarà il gusto internazionale: fucsia e blu. Il primo, nella sua infinita gamma di sfumature, è connesso alla spiritualità, ma anche al peccato: il secondo, che invece ha un carattere più terreno e sobrio. fa da contrappunto per ospitare tutta una serie di progressioni cromatiche intorno al viola, che non a caso è il colore più amato dai ricchi clienti asiatici che influenzano i marchi del lusso: Cina, Giappone, Corea. Oppure c’è il rosso, che per loro è “il” colore bello per eccellenza, da sempre. Ma nello stesso tempo, sono sempre attenta a ciò he arriva dalla tecnologia».
«Anche alla Biennale di architettura», incalza Bardi «c’erano materiali traslucidi in cui erano inseriti dei filtri – soprattutto rossi e blu – che permettevano di essere sovrapposti come velature che, viste insieme, avevano riflessi violacei, appunto. Siamo molto attratti anche dalla ricerca biologica, che ci offre molte ispirazioni». Quanto influisce il colore sulla percezione e la reazione del pubblico? «Moltissimo», rispondono all’unisono. «È la prima cosa che noti in una vetrina. Poi tocchi, poi analizzi, ma il primo approccio è visivo e fa sbocciare una sensazione. È il primo codice che utilizzi quando si crea una community, può plasmare la psicologia di una persona perché sono forme d’energia in grado di modificare il tuo umore. E i tuoi amori».