iniziano le sfilate

Milano Fashion week. Come lasciarsi il Covid alle spalle

Voglia di leggerezze e di trasparenze. E si iniziano a delineare in maniera precisa anche i colori del nuovo anno

Fabiana Giacomotti

Le sfilate della Milano Fashion week sono ufficialmente iniziate da ventiquattro ore e parecchi sono già in ritardo su tutto perché la modalità mista dichiarata – un po’ virtuale un po’ no – per i professionisti del sistema si è subito rivelata non valida: anche quello che si potrebbe vedere comodamente seduti a casa e a cui far seguire un simpatico whatsapp di congratulazioni e una domanda informata, si è trasformato in appuntamento ad hoc e in querula richiesta di presenza, perlopiù in sovrapposizione oraria con altri incontri. Insomma, questa pandemia doveva essere la chiave di svolta per produrre meno, sfilare meno, consumare meno e meglio, non ha lasciato grandi tracce se non nell’allarme panico per l’aumento delle materie prime di cui parlava il patron di Herno Claudio Marenzi, alla presentazione della sua collezione primavera-estate – per la prima volta addizionata di molta bella maglieria sulla quale va specializzandosi e che studia e crea sul “suo Lago Maggiore - definendola pericolosamente autoalimentata dalla stessa paura dei produttori.

 

Non solo elettricità, non solo gas: fra poco aumenteranno i prezzi anche sui beni di lusso. Marenzi giura di poter riassorbire le oscillazioni di mercato sul suo listino. In generale, e per quello che si è visto finora, si oscilla fra il rigore classico più assoluto, rischiarato però da nuove proporzioni, e la più totale voglia di mostrarsi. Vai agli incontri pre-sfilata con gli stilisti e tutti raccontano di donne che sarebbero pronte a svestirsi qui e ora, dopo un anno e mezzo di tutone e accessori di protezione. Sulla voglia di minigonne, basta guardarsi in giro adesso, per strada: le portano tutte, accompagnate perlopiù da stivali bianchi a tacco basso a imitazione Bottega Veneta e Valentino. Per la prossima primavera, ubiqui i trench, in genere bianchi o grigi o neutri, magistralmente interpretati da Daniele Calcaterra e da Kim Jones che sembra finalmente entrato in armonia su Fendi, ma anche realizzati in denim impunturato a mano, capo eclettico di Levi’s.

 

C’è anche molta voglia di leggerezza, che permette a esegeti del genere come Alessandro Dell’Acqua con la sua N21 di creare bermuda e giacche in tulle multistrato, da portare anche agganciati alle spalle con cinghie, a imitazioni dei vecchi modelli dei cacciatori (queste, però, sono in satin). Molti pantaloni cargo di organza trasparente; molti lacci, anche, e molti intrecci: il povero Cleto Sagripanti, ex presidente di Assocalzaturifici che, fra i tanti brand, realizza anche le calzature per Dell’Acqua, pare sia impazzito per realizzare, con lacci da scarpe colorati, i nuovi modelli slip on del designer napoletano. Sentiamo che verranno copiati tantissimo. Ancora molte piume e in genere molta poca stoffa attorno alle gambe.

 

Se la tendenza è il riciclo di vecchi tessuti e filati, come fanno Redemption e Vitelli, e il vintage ricondizionato, non c’è dubbio che con queste metrature non ci sarà penuria di materia prima. La maglieria è il nuovo campo su cui si esercita l’eccellenza nella lavorazione e l’eclettismo: dunque, se sotto il cappello della collettiva Slow Fashion sostenuta dall’Ice e promossa da The One Milano torna a presentarsi con giacche dai punti tridimensionali il primo marchio di maglieria apparso a Pitti, Avagolf, ancora nel lontano 1957 (“eravamo giovanissimi, per il marchio ci ispirammo a una foto di AvaGardner con il twin set che avevamo visto su una rivista”, dice il fondatore Vittorio Manzoni, ancora in primissima fila), Brunello Cucinelli fa dei suoi intarsi di piume su maglie in cordonetto e delle maglie in jacquard a punti aperti ad effetto rete un argomento per parlare di “un nuovo desiderio di vestirsi bene” e di “ritrovato ottimismo” (per lui, come potrebbe essere altrimenti: pochi giorni fa ha annunciato che i ricavi del primo semestre del 2021 sono aumentati del 52,9 per cento a 313,76 milioni di euro e che gli Stati Uniti e la Cina stanno rispondendo molto entusiasticamente alla ripresa). Per la prima volta, ha inserito nelle lavorazioni grandi paillettes trasparenti, lavorate come texture: l’effetto è di una morbida armatura, e anche qui prevediamo copiature in scala molto minore.

 

Si iniziano a delineare in maniera precisa anche i colori: arancio (che è il nuovo nero come da serie Netflix), il verde chartreuse, il rosa acceso (molto da Herno) . Macchie e spot da Redemption e anche, ovviamente, da Cavalli, che torna a sfilare dopo qualche stagione di rodaggio. Il marchio, si è capito bene qualche mattina fa, rinasce innanzitutto come operazione immobiliare a Dubai: il miliardario Hussain Sajwani, che ha fondato a guida la Damac Properties, dev’essersi ingolosito dopo aver venduto tutti gli appartamenti della Torre Versace qualche tempo fa. Il valore del progetto a Dubai Marina è di 545 milioni di dollari e la nuova torre, progettata dall’architetto Shaun Killa, ideatore del Dubai Museum of the future, avrà 485 unità divise in tre sezioni per così dire a lusso crescente. Si compra per così dire il prodotto finito. Qualcuno, alla presentazione, evoca le condizioni di lavoro per i muratori bengalesi negli Emirati e l’etica, chiedendo delucidazioni; viene invitato a concentrarsi sulla bellezza dei vestiti disegnati da Fausto Puglisi che in effetti, nel loro genere, sono riuscitissimi. Esiste un mondo che ama il bling bling e il nero accompagnato all’oro, e va detto che l’ultima campagna Cavalli, con Mike Tyson protagonista, ha ottenuto un successo totalmente inaspettato dalla stessa società. Il vecchio campione è un mito anche fra i ragazzini.  

Di più su questi argomenti: