Il grande ritorno del corsetto, alla faccia dell'inclusione
Fra la seconda edizione di Bridgerton e la copertina di Vogue con Adele dimagrita di trenta chili alla faccia dei woke del peso ponderale e strizzata in un corsetto di Vivienne Westwood, le vendite del “capo anti-femminista per eccellenza” sono cresciute a doppia cifra e le ricerche online del 73 per cento
Arriverà il momento in cui realtà e percezione della stessa combaceranno e tutti saranno debitamente svegli. Nel frattempo, sappiate che l’ala non woke del mondo, in apparenza piuttosto numerosa, ha dato l’assalto al capo di abbigliamento della patriarcalità trionfante, il corsetto. Ne ha dato notizia, con un filo di allarme, il Guardian, osservando desolato come, fra la seconda edizione di Bridgerton di prossima programmazione e la copertina dell’edizione di novembre di Vogue UK, starring Adele dimagrita di trenta chili alla faccia dei woke del peso ponderale e strizzata in un corsetto di Vivienne Westwood, le vendite del “capo anti-femminista per eccellenza” siano cresciute a doppia cifra, e le ricerche online di bustier da sera a buon mercato aumentati del 73 per cento.
Non vorremmo aumentare il carico già pesante inflitto a quelli che Coco Chanel ha liberato le donne dal corsetto (peraltro notizia errata perché fu idea di Paul Poiret a cui piaceva invece avvolgere le gambe femminili e oggettivamente non si potevano ridurre le donne a bozzoli, strette di sotto e anche di sopra), ma sappiate che i Tiktoker mondiali hanno eletto a gioiello-feticcio il choker di perle, altresì detto “collier de chien”, il collare triplo giro stretto al collo. Dico, il collier di perle, cioè il derivato regalistico-virginale del patriarcato, il simbolo della maturità raggiunta per le fanciulle bennate, offerto per il diciottesimo dal babbo fino a non troppi anni fa (mia figlia, per esempio, ne ricevette uno, e le perle erano state scelta a una a una).
La versione del collier che fa furore attualmente sui social è, in realtà, la sua declinazione fintissima e molto alternativa realizzata ancora negli Anni Novanta da Vivienne Westwood, la fanciulla eterna del punk che si è vista in ottima forma alle ultime sfilate di Parigi, ma forse dovremmo tutti iniziare a domandarci per quale motivo il politicamente corretto e tutto il suo derivato estetico impositivo continui a essere sconfessato dalle stesse comunità giovanissime che vorrebbe conquistare.
L’altra sera, parlando con una diciassettenne figlia di un’amica, ho scoperto che nessuna, ma proprio nessuna sua coetanea, pubblicherebbe mai una foto su Instagram senza adeguato uso di filtri e che, ben peggio che per la mia generazione, la popolarità di una adolescente passa, oltre che per un buon numero di letti e non è una gran novità, anche per la sua adeguatezza ai canoni estetici e tiktokkari del momento: labbra tumide, pancia piatta, sedere spinto all’infuori, capelli folti a onde, capacità di eseguire quattro passi di danza nel bagno della scuola. In pratica, una Letteronza dei tempi berlusconiani, ma con il lavoro aggiuntivo del post quotidiano e con una scarsissima speranza di monetizzare il tutto.
Dunque, la notizia di oggi è che Adele, ma anche Billie Eilish, Lizzo e Bella Hadid hanno ricominciato a indossare il corsetto, ma basterebbe risalire alle news di tre settimane fa per scoprire che la sfilata milanese più cliccata è stata quella che sanciva la collaborazione fra Fendi e Versace, Fendace, un trionfo di corsetti e fourreaux Anni Novanta rivisitati. E inutile girarci attorno, dopo due anni di privazioni sociali e tute casalinghe, c’è in giro una gran voglia di esibizione di corpi tonici, alla faccia dell’inclusione estetica. Per dire, il sito di abbigliamento comodo americano Entireworld, un nome un manifesto programmatico, ha chiuso.
Alla Scala