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La fabbrica dei fashion like
Le sfilate non bastano più, le aziende produrranno sempre più eventi a fini social, lavorando su immagini e linguaggio. Come rivela la prima edizione dell’Osservatorio della Reputazione Online di KP16 e Comin&Partners. Un nuovo appuntamento semestrale per i lettori del Foglio della Moda
È inutile sperarlo, come tanti che lamentano di sentirsi “in servizio permanente effettivo” per i brand che, ogni settimana, organizzano eventi a fini di storytelling sui social. Le settimane della moda come le conoscevamo in epoca pre-Covid non torneranno più. Chi contava che - con il rientro di Gucci nella Fashion Week milanese, annunciato l’altra settimana dal ceo Marco Bizzarri, e il licenziamento in tronco di Daniel Lee dalla cerica di direttore creativo di Bottega Veneta, che sfilava senza preavviso ovunque gli cogliesse vaghezza - tutto sarebbe tornato come un tempo, cioè con tempi e modi pianificabili, sta sbagliando a fare i propri conti, e anche di parecchio. Il ritorno dato dagli eventi e dalle iniziative sui social, oggi, è tale, e talmente importante, che nei prossimi anni, li vedremo moltiplicarsi in proporzione geometrica.
La prova del valore assunto dai social nella comunicazione della moda e nel posizionamento del brand presso le comunità più diverse arriva dal primo Osservatorio sulle Reputazione dei brand del lusso realizzato da Comin & Partners e KPI6, di cui Il Foglio della Moda è media partner, che vede al primo posto nella brand reputation sui social a livello nazionale Gucci, seguito da Giorgio Armani e Louis Vuitton. Sono loro i più abili a gestire Instagram, Facebook e Twitter, a cavalcare i trend e massimizzare le proprie attività. L’Osservatorio, realizzato a cadenza semestrale (prossimi appuntamenti a maggio e novembre 2022), misura la quantità e la qualità dei contenuti e stila la classifica delle maison con la reputazione migliore, oltre a un profilo del “fashion addicted” italiano e, tema che per il “Foglio della Moda’ è particolarmente rilevante per il profilo sociologico-semantico, il linguaggio usato dai follower nei loro commenti. Le “parole per dirlo”, insomma.
L’analisi ha considerato 177mila risultati, prodotti da 23mila utenti in Italia, che hanno ottenuto in totale 250 milioni di like. Quali sono le motivazioni che spingono a seguire i brand della moda sui social? Ammirazione? Affezione? Il desiderio di sentirsi parte di una comunità? O di farsi cadere addosso un po’ di polvere di stelle? Che cosa induce a seguire i brand della moda sui social? E quali parole usiamo per descrivere le sfilate, gli eventi, le attività quotidiane dei brand preferiti? La ricerca utilizza un algoritmo proprietario per valutare i volumi delle conversazioni e la polarità delle opinioni, elaborando un indice unitario – Indice Sintetico di Reputazione (ISR) – in grado di pesare la qualità e la quantità delle menzioni.
“Lavoriamo alla definizione di una corretta brand reputation online”, dice Alberto Nasciuti, ceo di KP16, “grazie all'utilizzo di un indice di affinità tra sentiment del pubblico ed engagement dei contenuti”. Ma accanto alla reputazione, ecco le parole che la raccontano e la definiscono: come era logico attendersi, la “sostenibilità” si trova ai primissimi posti nei tag, insieme con “sfilate” e “fashion week” ma anche “Parigi”: nessuno che frequenti gli eventi della fashion week d’Oltralpe, o anche solo aspiri a farlo, si trattiene dal sottolineare la soddisfazione di “esserci”, anche solo virtualmente. L’analisi si è focalizzata sui contenuti provenienti dagli “Owned Media” - account proprietari dei brand - e gli “Earned Media” account terzi che menzionano i brand. Sono state redatte tre classifiche per analizzare le performance dei brand online e la loro reputazione: la classifica dei volumi di conversazione, somma di Owned Media e Earned Media; la classifica secondo l’ISR, che bilancia volume e sentiment, aspetto molto mutevole; la classifica della quantità dei contenuti prodotti dagli owned media dei brand. Primo dato rilevante: il follower del lusso non è necessariamente un cliente del brand. Può essere infatti anche e solo un suo estimatore, un contributore “al patrimonio di reputazione e awareness delle aziende, alla creazione del “mito” dei brand più prestigiosi”, come dice Gianluca Comin, fondatore e presidente della società di consulenza.
Gucci totalizza sia il maggior numero di conversazioni, sia la migliore reputazione nel periodo preso in considerazione da questa prima edizione dell’Osservatorio, con poco meno di 20mila conversazioni online, seguito da Giorgio Armani e Louis Vuitton, rispettivamente con 13.536 e 11.406 contenuti. Le cose non cambiano in relazione al valore delle menzioni, per il quale l’Osservatorio ha elaborato un Indice Sintetico di Reputazione (ISR), cioè un indicatore che assegna a ciascun brand un punteggio in base al bilanciamento tra il totale delle conversazioni online e il loro sentiment, cioè la propensione del follower nei confronti di un dato brand: se un marchio è al centro di un elevato scambio di conversazioni, ma di sentiment non positivo, l’ISR sarà inferiore.
Dopo Gucci, che totalizza il valore più elevato anche nella classifica dell’ISR con un punteggio di 170 e che probabilmente è anche il marchio che ha investito di più in professionisti del digitale), sul podio si trovano ancora Giorgio Armani (121) e Louis Vuitton (98) rispettivamente al secondo e al terzo posto. Tra i brand con un valore di ISR superiore a 50 si qualificano Dolce & Gabbana (96), Chanel (90), Dior (79), Versace (77), Prada (76) e Fendi (50). Gli utenti-follower, altro dato rilevante, hanno inoltre la tendenza a creare conversazioni sui brand, dando origine a micro-community focalizzate su tendenze e prodotti, esprimendo giudizi e considerazioni personali.
Questo aspetto risulta ancora più interessante se si combina con il ruolo crescente dei micro-influencer, cioè di chi vanta fra i mille e i 20mila follower, nelle strategie comunicative dei brand. Non c’è sempre, anzi c’è sempre meno, bisogno di multinazionali del following commerciale modello Chiara Ferragni (che infatti sta spostando il proprio focus su collaborazioni creative e sulle proprie linee di prodotto), e sempre di più di influencer con un seguito ridotto ma con elevati tassi di engagement e di reach, cioè il numero di persone raggiunte rispetto ai follower. Per questo motivo, negli ultimi anni i brand hanno iniziato a scegliere come testimonial non solo personaggi noti, ma anche persone “come noi” a cui affidare storie e messaggi da veicolare. Questo non significa, ovviamente, che le star à la Ferragni, o le attrici da decine di milioni di follower, abbiano perso di appeal: rappresentano, però, il “sogno”, il “lontano”.
Nel periodo considerato dalla ricerca, le due celebrity che hanno fatto maggiormente parlare di sé sono state appunto Ferragni e Sharon Stone. Dalle conversazioni analizzate in occasione del Festival di Cannes, tra il 6 e il 17 luglio 2021, è emerso infatti un fenomeno da non sottovalutare, cioè la compresenza di influencer “classici” e “digitali”. Sharon Stone rappresenta la classica diva, la cui fama deriva dalla carriera nell’ambito cinematografico e dello spettacolo. Chiara Ferragni è l’emblema dell’influencer del nostro millennio, il cui elemento di notorietà principale si basa sulla presenza online. Famosa per essere sempre lì, un post dopo l’altro, ancor più che come media imprenditrice della moda. Nonostante la distanza tra i due paradigmi, segnala l’Osservatorio, l’obiettivo per le aziende che si rivolgono a loro è comune, e cioè generare emulazione e brand awareness. E in questo quadro, sfilate, red carpet ed eventi dove le celebrity indossano abiti e accessori di un dato brand stimolano ulteriormente il dibattito, aumentando sia l’engagement sia l’apprezzamento nei confronti del marchio.
Per questo, creare occasioni di notiziabilità è diventato fondamentale, anche dando luogo a quelli da Daniel J. Boorstin nel 1961 definì “pseudo-eventi”, cioè avvenimenti progettati e pianificati intenzionalmente con l’obiettivo di essere ripresi dai media. La predilezione dei media per questo genere di notizie deriva dal loro inserimento ideale nelle routine produttive, ma risulta anche molto funzionale per l’amplificazione nelle conversazioni online, dove gli utenti concentrano la propria attenzione.
Che si parli di Lady Gaga vestita Valentino a “Che tempo che fa” serve a tutti, programma tv compreso. Lo conferma anche l’analisi geografica elaborata sulla base delle menzioni: le principali conversazioni online, infatti, avvengono nelle grandi città italiane come Milano, Firenze e Roma, dove hanno luogo le iniziative più importanti della maison e l’attenzione degli utenti si concentra sugli abiti indossati dalle celebrità. A Milano, ad esempio, emerge una grande attenzione per i brand del lusso italiano come Giorgio Armani e Valentino, i cui abiti generano elevati volumi di conversazione da parte degli utenti. A Roma, invece, le persone pubblicano spesso contenuti per aumentare la visibilità dei propri negozi o accrescere l’awareness attorno ai loro prodotti attraverso campagne pubblicitarie. Infine, a Firenze, invece, la maggior parte delle conversazioni online analizzate riguarda Salvatore Ferragamo, al centro di moltissimi dei contenuti postati dagli utenti, che commentano gli abiti esposti nelle vetrine delle boutique.
Le parole e gli hashtag più usati sono “lusso”, “shopping”, “streetstyle”, ma anche “sostenibilità”, in linea con la tendenza che riguarda più in generale una crescente sensibilità all'interno del dibattito pubblico e che generale non di rado anche biasimo nei confronti delle aziende del lusso in relazione alla salvaguardia dell’ambiente. In secondo luogo, l’analisi dei temi e delle parole più frequenti nelle conversazioni conferma l’importanza che gli eventi associati alle maison ricoprono nell’alimentare il dibattito in rete. Tra i termini più utilizzati si trovano infatti “sfilata”, riferita alle iniziative mondane dei brand, “Parigi”, che risulta molto spesso una delle location preferite per l’organizzazione di eventi da parte delle aziende e “Fashion Week”, usato dagli utenti per commentare la settimana della moda di Milano. E in relazione a questo aspetto, la classifica cambia: sono Chanel, Giorgio Armani e Dior i primi tre brand in termini di contenuti pubblicati.
La ricerca evidenzia come in Italia si parli generalmente in modo positivo del lusso e dei brand associati, considerati elementi costitutivi dell’identità del Paese: dato che, forse, andrebbe portato all’attenzione dei politici, sempre restii a valorizzare un settore di cui non hanno ancora imparato a maneggiare il senso e i risvolti morali. Il tema non tocca invece il pubblico generale, per i quali l’ammirazione occupa il primo posto fra le reazioni, con una percentuale superiore al 60 per cento, seguita dalla gioia e dalla sorpresa (yes, molti emoticon). Questa fan base è donna quasi al 60 per cento, sebbene gli uomini non si possano definire poco interessati all’argomento: interagiscono e creano contenuti, infatti, con una certa frequenza. In genere, e per tutti i generi, si tratta di un’audience molto giovane.
L’interesse per i brand di lusso è concentrato nei Millennials, che occupano quasi il 70 per cento delle persone coinvolte dalle conversazioni, divisi nelle fasce 18-24 (poco più del 25 per cento) e 25-34 (circa il 40 per cento). Sono invece meno interessati alla industry del lusso gli utenti più giovani, di età inferiore ai 18 anni, che non raggiungono il 5 per cento dell’audience. Ultimo dato rilevante, chi si interessa di lusso segue anche brand sportivi come Puma, Nike e Adidas, ed è generalmente interessato ai viaggi e allo shopping in generale: elettronica, design e abiti del fast fashion. “Uno sguardo comparato ai dati emersi dalla nostra analisi dell’audience di riferimento e alle informazioni sugli utenti ottenute dal Global Consumer Index”, spiega Nasciuti, “mostra gli acquisti correlati di chi parla dei marchi di lusso.
Dall’analisi incrociata di questi due elementi emerge la tendenza dei consumatori a dividere le proprie spese in device elettronici come laptop, auricolari, videogiochi, smartwatch, oggetti personali e accessori appartenenti alle catene del «fast fashion» come borse, gioielli, occhiali e attività di svago”. I comportamenti di acquisto degli utenti che producono contenuti sui brand del lusso suggeriscono una interessante lettura del concetto di reputazione del marchio: non costituiscono infatti una community di acquirenti dei brand, ma rappresentano ugualmente un enorme patrimonio per le aziende, in termini di reputazione e awareness, alimentando il “sogno” di possederli.
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