La sciatteria da lockdown è finita. Tornano il formale e la voglia di qualità
A Men's Fashion Week terminata (ora inizia Parigi, ma non sarà troppo diversa), possiamo dire che cosa ci hanno lasciato due anni pandemici. Una gran voglia di dignità, di formale, di belle facce, di valore effettivo. Ecco tutte le tendenze e i retroscena, nel nostro classico alfabeto
Prada FW 22 23 parade
PradaUomoFW22_Look49_Jeff Goldblum
PradaUomoFW22_Look48_Filippo Scotti
PradaUomoFW22_Look38_Jaden Michael
PradaUomoFW22_Look3_Thomas Brodie-Sangster
PradaUomoFW22_Look1_Kyle MacLachlan
Herno
Herno
Gaetano Colucci - Ardusse
Brunello Cucinelli fw 22 23
Brunello Cucinelli FW 22 23
Etro FW 22 23 1
Etro FW 22 23 1
Etro FW 22 23 1
MSGM MEN'S
MSGM MEN'S
TODs
TODs
Zegna
Zegna
Zegna
Miuccia Prada parla di dignità del lavoro, Alessandro Sartori per Zegna la porta in video sul Monte Rosa e in piazza del Duomo a Milano con una performance del coreografo Sadeck Waff tesa a rappresentare, cioè a dare rilevanza, alle 160 mani che hanno lavorato alla collezione, Fendi riscopre il formale, Tod’s lo ribadisce. L’aria diversa che spira sull’Italia da qualche mese si nota in tutte le collezioni uomo autunno-inverno 2022-2023 presentate fra Firenze e Milano, in una fashion week meno contenuta di quanto si sarebbe temuto e per molti versi migliore: più selettiva, più focalizzata, più similare a quello che dovrebbe essere. Un festoso appuntamento di lavoro. Per i flaneur, i tiktoker e tutti i di cui del sistema torneranno sicuramente momenti più adatti. La focalizzazione sul tema del lavoro e la dignità dell’”abito bello” si nota perfino nelle collezioni degli indipendenti come Lawrence Steele per Aspesi, la cui morbidezza lineare e rigorosa di sempre ha acquisito nuovo senso, e dei designer giovanissimi di maggior talento come Gaetano Colucci, che da un lato hanno abbandonato l’eccesso streetwear delle ultime stagioni, e dall’altro sono riusciti a trattenersi su certe svenevolezze e certe leziosità impraticabili perfino per i cultori della scevà. Siamo al rimbalzo dello stile maschile, che non tornerà di certo al formale rigido della vecchia sartoria e si avvantaggerà invece dell’approccio agender ormai ubiquo e dell’uso estensivo di materiali tecnici, ma che ha anche smesso di accomodarsi nella cuccia estetica del pantalone da jogging. Molti velluti a coste, resi più morbidi dalle mescole con il cashmere o la seta, molto rosso nelle sue più varie declinazioni, dal melograno di Cucinelli al burgundy di Fendi al magenta di Prada. Tanti piccoli seduttivi dottor Pozzi, l’uomo con la vestaglia rossa del ritratto di Sargeant, si apprestano a percorrere, luminosi e attraenti, il prossimo inverno. Da cui, un tradizionale alfabeto, piuttosto entusiasta, in attesa dei segnali da Parigi (che, tiriamo a indovinare, non saranno troppo diversi, giusti un po' più sgarrupato-chic).
A come agender. Non ci eravamo mai accorti della ragione ultimativa della produzione agender. Dimezza le esigenze di produzione. Tutta questa filosofia per poi incontrare imprenditori che si vantano di “poter passare dalla XXS alla XXL senza aggiungere una piega” (la si pensava allo stesso modo nei Sessanta, comunque: la filosofia, duole dirlo, è per le anime belle e per i molto furbi che la imparano davvero, anche)
C come classico. Per anni sinonimo di noioso, perfino asfittico, ha recuperato senso nella collezione di Prada che ha sfilato domenica, nel tripudio del parterre che da tempo aspettava una collezione uomo così riuscita e, citiamo le parole di Miuccia Prada, così eloquente. “Avevamo in mente capi che avessero un significato. Abiti in grado di far sentire le persone importanti e che fossero, di per sé, importanti”, ha detto, nella prima collezione dove la partnership creativa con Raf Simons, pur ancora leggibile nelle differenze, iniziasse ad avere un senso compiuto. “Non volevamo una moda usa e getta, ma qualcosa che avesse significato, longevità e rilevanza”. “Concetti diametralmente opposti tra loro vengono messi a contrasto: la manifattura sartoriale dei capi fondamentali del guardaroba maschile viene combinata con elementi industriali, come tute e abiti da lavoro. Rimanda alla praticità e alla quotidianità, ma con un’importanza formale e non casual. Tutto ciò che un essere umano fa è rilevante”. Il fatto che, due giorni dopo cioè oggi, Prada abbia annunciato risultati in crescita del 41 per cento a cambi costanti, con ricavi a 3,36 miliardi sul 2020 e dell'8 per cento rispetto al 2019 grazie alla spinta del retail, sembra la prova provata della centralità umana nella moda (detto da cliente: mai stati coinvolti tanto in attività, suggerimenti, promozioni come nell'anno appena trascorso)
C come cintura anzicheno. Ci apprestiamo a imitare la fascia in lana jacquard trattenuta da spilloni che Kean Etro ha fissato alla vita dei suoi modelli.
D come Diet Prada. L’account Diet Prada, con i suoi 2,9 milioni di follower e sulla coscienza il crollo dei Dolce&Gabbana in Cina, di cui pubblicarono commenti e post seguiti alla famigerata “campagna dei cannoli” (la battaglia legale è ancora in corso), ha sottolineato in un post di “rimpiangere i tempi in cui Prada faceva il contrario di tutti gli altri”, affiancando la foto di un trench femminile in pelle di Balenciaga di un paio di stagioni fa, dalle spalle ampie e scese, con quello apparso in passerella l’altro giorno. Il gioco del “chi fa cosa”, nella moda è molto praticato ma è anche molto ridicolo: ognuno potrebbe risalire a piacimento almeno di un paio di secoli a ogni collezione, a seconda della cultura e della sensibilità. Identificando influenze diverse in ogni dettaglio. La moda è stratificazione. E, a proposito di giochetti, ci piacerebbe sapere se il sito Diet Prada avrebbe avuto lo stesso successo senza il cognome di Miuccia riprodotto perfino nei caratteri tipografici.
D come dévoré (anche come effetto). Le giacche di Etro, i pantaloni e i maglioni di Zegna. L’effetto dévoré supera il concetto dell’effetto-usato per diventare decoro e affermazione di impegno personale
F come filati. Le maglie col collo a lupetto e ad effetto bouclé variegato su famiglie tonali (molti quelli della terra, nella triade giallo, ocra, mattone, oppure grigio-blu) si ritrovano un po’ ovunque. A Pitti ci erano piaciute quelle di Stile Latino, a Milano quelle di Aspesi e Cucinelli, e ci hanno divertito i jacquard di MSGM con i funghetti allucinogeni. Però bisogna davvero imparare una quantità di codici nuovi per districarsi fra filati e tessuti high tech. A scopo esortativo, riproduciamo parte della cartella stampa della collezione K-Way: “I tessuti sono naturali, come le lane COVER e STORM SYSTEM di Loro Piana, oppure sono realizzati con processi di produzione sostenibili, come AMIABLE, nato dal riciclo di scarti di nylon, o RECALL, un sistema che prevede lo smaltimento dei capi inutilizzati, tracciabile grazie ad un apposito QR code. Uniscono performance e texture organica i capi di CORDURA foderato di lana cotta mentre il POLARTEC stravolge pezzi dall’aplomb classico”. Le intenzioni sono ottime, gli scopi nobili, ma ci piacerebbe sapere quanti scaricheranno i QR Code per informarsi.
F come formale ma anche come Fendi. Onore al coraggio di Silvia Venturini Fendi che, mentre Kim Jones va costruendo attorno al logo della F, stagione dopo stagione, una community, strategia di marketing oggi imprescindibile, invita giovani e giovanissimi alla scoperta delle piacevolezze dell’eleganza formale. Nello stile della casa, i tagli sono molto rigorosi e netti: giacche ampie, tagliate come brevi mantelle, cappotti oversize monopetto, lunghe, camicie col collo italiano e un bel fit. Due soli tagli di pantaloni: a sigaretta e bermuda, oltre al palazzo-gonna. Interessante la declinazione del progetto sui montoni rovesciato e lavorato (vedere alla voce pelliccia e pelle). Ci sono piaciuti anche il papillon grande e morbido sotto il frac (yes) e i mocassini di vernice. Lo sapevamo che la smania delle tute di pile non poteva durare.
G come graffiti. Non solo logo rivisitati, come il Murakami per Louis Vuitton di vent’anni fa. La stampa stile graffito si ritrova nei piccoli progetti di collaborazione creativa (Arthur Arbesser per Baldinini), come nelle produzioni delle prime linee (Herno, Dolce&Gabbana)
J come Jeff Goldblum. Come nel 2016, ben più che allora, la distesa di moquette sostenibile verde oliva dello spazio Prada si è popolata di volti non solo noti, ma soprattutto amati, di uomini che hanno fatto la storia del cinema e che hanno comunque qualcosa da dire anche nella vita reale. Ola generalizzata per Jeff Goldblum che, camminando come se dovesse allontanare orde di alligatori famelici, ha chiuso la sfilata: non era così sexy nella “Mosca”, tanto meno ne “Il grande freddo”. Ci sono uomini a cui i capelli bianchi ingentiliscono i tratti, regalando un’aria giovane che da giovani non avevano
L come Ledger. D’accordo, siamo nel novero dell’inessenzialità assoluta, ma che bella operazione di marketing ha fatto Ledger Nano X, hardware wallet per criptovalute e asset digitali, facendosi disegnare da Fendi una minuscola Baguette con il motivo O’Lock.
M come mantella. E’ tornato perfino il tabarro, perché non dovrebbero tornare le mantelle impermeabili corte e perfino le giacche tagliate come se?
M come montone. “Se attacchiamo anche la catena alimentare non produciamo più nulla. Nemmeno le scarpe”, osserva Silvia Venturini Fendi a domanda diretta e molto mirata sui bei montoni in passerella, appunto derivato degli scarti dell’industria alimentare. Sulla deriva molto talebana e molto ignorante che ha preso piede fra i cultori dell’inesistente “pelle vegana” o “ecopelle”, che da circa un anno non si può più nemmeno definire tale per legge, essendo ormai acclarato che trattasi di plastica, o di derivati di colture di vario genere sempre però tenuti insieme da colle molto poco ecologiche, si va combattendo una lunga battaglia. La pelle naturale è quintessenza dell’economia circolare, il resto non si sa, o forse si sa molto. L’associazione mondiale dei conciatori ha rilasciato da poche settimane un filmato in cui denuncia i danni derivanti per il pianeta dalla produzione inarrestabile di tessuto, ma non ci sembra l’approccio migliore. L’assist dell’erede Fendi ci sembra ancora la strategia migliore.
O come Ottanta. Rispetto ai Dolce&Gabbana abbiamo visione molto diversa della moda, dei modi e della vita (succede, mica si può andare d’accordo con tutti, sebbene loro siano in effetti l’unico caso di assoluta divergenza di idee, inclusi Francia, Stati Uniti e UK), per cui vediamo le loro sfilate solo da quando il Covid ha sostanzialmente imposto a tutti i brand di trasmetterle live online. Le guardiamo comunque con molto interesse. Questa volta, per esempio, ci ha fatto molto piacere seguire lo show perché ci è sembrato di rivivere i nostri vent’anni. E’ stato un salto nostalgico e senza mediazioni negli Ottanta, ad eccezione di un piccolo sguardo a Balenciaga nelle spalle: i graffiti, i puffa jacket da omino Michelin, i colori fluo, i peluche, le luci. All’improvviso ci si è aperta la memoria di un’epica serata alla Vachérie di Morgex finita con sciatina al chiaro di luna in abito da sera seguita da due settimane di bronchite. Che tenerezza. E’ stato fantastico vedere tutte quelle madeleines proustiane in passerella ma dopotutto, con i D&G condividiamo almeno l’anagrafica, vorrà pur dire qualcosa. Resta da capire se i giovani di oggi – anche in Asia per esempio – la vedano allo stesso modo.
P come pantaloni. Quelli di tendenza hanno una breve scampanatura sul fondo e modellano. Oppure sono dritti (adattissimi per chi è meglio non modelli alcunché)
P come Petto anzi “un petto e mezzo”. E dire che osserviamo l’evoluzione delle giacche di Brunello Cucinelli da anni. Non ci eravamo mai accorti che, in effetti, hanno un taglio ma soprattutto un’abbottonatura speciali. Il patron dice che esalta le spalle, assottiglia la schiena ed esalta il derrière, al contrario del doppiopetto, che in effetti, a mano di non esagerare sulle spalle, regala la linea di un fustino di detersivo, azzerando anni di sforzi in palestra. Per il prossimo inverno, ha ricalibrato ulteriormente le allacciature, e infatti la giacca si può portare semi-sbottonata senza che si perda l’effetto slanciante.
S come stratificazione. Il clima è mutevole, le percezioni personali anche. Dunque, molta stratificazione, praticatissima in particolare da Zegna, che mescola funzione e personalità anche nelle forme e nelle funzioni: i cappotti a trapezio sono indossati sopra gilet di seta tecnica nastrata; le giacche a vento sono di lana. Interessanti le pelli con mano gommata, tagliate come camicie e con interni doppiati in cashmere. Anche la divisione tra interno ed esterno, sopra e sotto è sfumata e reinventata di continuo.
T come twist. Aggettivo o sostantivo, a seconda, entra di prepotenza nel lungo elenco dei luoghi comuni dall’aria esotica praticati dagli uffici stampa nei loro comunicati-ciclostile (iniziamo seriamente a sospettare che il titolare scriva un comunicato standard a gennaio e che lo stesso venga adattato a seconda del cliente e della stagione per tutto l’anno dagli stagisti, in cinque minuti). Ritenuto più raffinato e giovane ed “exciting”, il “twist” viene solitamente applicato alla descrizione di borsette, borsoni, maglioni senz’arte né fantasia di cui ci si sforza inutilmente di trovare la ragione.
V come velluto. A coste, soprattutto. Giacche, pantaloni, impermeabili (Landi). Il velluto misto cashmere di Cucinelli ha toni morbidi, flou e smorzati. Quello effetto iper-tridimensionale di MSGM, declinato anche nei bermuda e color turchese-ottanio, è molto piacevole al tatto. Quello liscio di Aspesi, molto setoso, piacerà ai ragazzi.
manifattura