Le trincee di chiffon sono più soffocanti di quel che si crede. Addio André Leon Talley
È morto a 73 anni ALT, direttore creativo di Vogue America, a tratti stylist degli Obama. Mitologico paladino della diversità come talento
André Leon Talley, per tutti ALT con l’acronimo riservato alle personalità grandiose, “larger than life” come si dice negli Usa con una metafora che gli andava a meraviglia, essendo lui alto due metri e per molti momenti della sua esistenza largo in proporzione, è mancato poche ore fa a New York.
Per lungo tempo direttore creativo di Vogue America, a tratti stylist degli Obama, lui stesso protagonista di un documentario, “The gospel according to André”, ALT aveva 73 anni: ormai alternava gli impegni di lavoro, legati soprattutto allo straordinario successo del suo ultimo libro, l’autobiografico “The chiffon trenches”, le “trincee di chiffon”, a lunghi soggiorni nella sua città di nascita, Durham, North Carolina, da dove aveva saputo emanciparsi negli anni in cui le Black Panthers avevano appena iniziato a dare la scalata ai salotti radical e la diversità non si sapeva nemmeno cosa fosse.
Lui aveva dalla sua uno straordinario talento e un interesse assoluto e totalizzante per la bellezza. Il primo a dare la notizia, questa mattina prestissimo, alla comunità internazionale, è stato non il suo agente letterario, ma Graydon Carter, mitologico direttore di Vanity Fair ora andato in pensione o, per meglio dire, messo da parte dalla Condé Nast, ma ancora attivissimo con un progetto online che sta scalando le vette del gradimento social-culturale mondiale, “Air Mail”.
Non è ancora chiaro per quale motivo ALT fosse ricoverato in un ospedale di White Plains, nel New Jersey. Di certo, non godeva di ottima salute, da molto tempo: anni di eccessi alimentari, alternati a drastiche diete, l’avevano reso fragile, ma è probabile che l’estromissione da ogni incarico in Vogue America, pochi anni fa, comprese le interviste che conduceva in diretta alle personalità invitate al MET Ball lungo la scalinata del museo, gli avessero spezzato un cuore che, fin dall’infanzia, era stato messo parecchio alla prova.
Nero di famiglia modesta e genitori divorziati, non dichiaratamente omosessuale ma certamente fluido, era spaventato dal contatto fisico dopo una lunga storia di abusi, maggiori e minori. “La mia storia è una favola di eccessi, e come in tutte le favole ci sono cattiveria e momenti oscuri, che si possono superare solo perseguendo la luce”, diceva.
Pochi minuti fa, il drammaturgo Jeremy O’Harris ha scritto: “Per un ragazzino nero gay che puntava alla luna dal sud America, c’erano poche persone a cui poteva guardare, eccetto te, André. Per un’intera generazione, andré Leon Talley è stato un faro di grazia e di ispirazione”.
Secchione, coltissimo, molto concentrato su di sé (“mi chiamo Talley, come Talleyrand”, diceva ancora ragazzino accogliendo gli ospiti a Interview, la prima redazione dove avesse lavorato, ingaggiato da Andy Warhol su suggerimento di Diana Vreeland che l’aveva avuto come assistente al Metropolitan), ALT era laureato in letteratura francese. Tesi su Flaubert. Il francese non aveva segreti per lui che avrebbe non a caso soggiornato a lungo anche a Parigi, come emissario della casa editrice più influente nella moda negli anni dell’affermazione di Karl Lagerfeld e di Yves Saint Laurent (“bisognava scegliere da che parte stare”).
“Quando all’università attraversavo il campus con la copia di Vogue che avevo acquistato, i colleghi mi tiravano le pietre. Amavo quella rivista: nulla di brutto poteva capitare sulle sue pagine”. Stargli seduti accanto, alle sfilate, era un caso che capitava soprattutto nella settimana della haute couture, e una gioia assoluta per lo spirito wicked e witty, brillante e cattivello, con cui si esprimeva nella sua vocina sottile, del tutto antitetica alla stazza che copriva con immensi caftani e vestaglie disegnate ad hoc. Ascoltarlo era come vedere Oscar Wilde reincarnato, o come tutti ci immaginiamo che fosse: altissimo, pingue, brillante, perfido.
Per un certo periodo, aveva affiancato gli Obama come stylist, salvo prendersela da morire quando organizzarono il party di compleanno dell’ex presidente durante la pandemia: “Dovrebbero ricordarsi da dove vengono, essere più umili”, dichiarò. Si era più o meno riappacificato da poco con Anna Wintour che, a suo dire, l’aveva estromesso dalla redazione in quanto “troppo vecchio, troppo grasso, troppo poco cool”. Sei mesi fa, le fece i complimenti per il nuovo incarico di responsabile editoriale di tutte le testate Condé Nast. Osservò che ottenere un posto simile a settantadue anni, era certamente una riuscita clamorosa.
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