Il gesto
Armani sfila in silenzio per l'Ucraina
l segnale di dignità che la moda attendeva
Non aveva senso cancellare le sfilate: troppo lavoro, per troppe persone. Ma nemmeno festeggiare. Per fortuna un segnale è arrivato. Dal più grande. E l’ultimo che abbia conosciuto la guerra. in sala anche Liliana Segre
Ore 14.15 di domenica 27 febbraio. Si spengono le luci nel teatrino sotterraneo della Giorgio Armani spa, dove da qualche mese il fondatore ha deciso di tornare a far sfilare le collezioni della linea pret-à-porter. Una voce annuncia in inglese che la sfilata si svolgerà senza musica “in segno di rispetto per tutte le persone coinvolte nella tragedia in corso in Ucraina”. Il silenzio è pesante, palpabile, interrotto dal fruscio delle sete, dal tintinnare dei cristalli dell’ultimo, meraviglioso abito, dal rigore e da una dignità di cui tutti, anche noi critici, avevamo bisogno.
Le modelle e i modelli, perché anche questa è una sfilata co-ed, come la Emporio di tre giorni fa, sfilano a loro volta emozionati e compresi. Non c’è musica, perché c’è un nuovo ritmo, ed è quello dell’unità di intenti, del sentire. Ad assistere alla sfilata della collezione inverno 2022 - in cui le giacche avvitate di velluto sono accompagnate a pantaloni di ogni taglio e forma ma perlopiù sottili, in diversi tessuti e materiali, i cappotti sono morbidissimi e avvolgenti e la sera si illumina di mille bagliori in una paletta che cangia dal nero al verde all’argento - c’è il sovrintendente del Teatro alla Scala Dominique Meyer, di cui Armani è tornato ad essere socio fondatore: dopo la richiesta molto maladroite e molto criticata del sindaco Beppe Sala al maestro Valery Gergiev di rinnegare ufficialmente la politica del suo paese,
Meyer conferma al Foglio che le prossime repliche della Dama di picche si terranno, ovviamente con un altro direttore d’orchestra. In sala arriva anche la senatrice a vita Liliana Segre, che sempre alla Scala, lo scorso 7 dicembre, ha incontrato Armani e gli ha chiesto di assistere alla sfilata. “Magari avrà riserve sulla moda, ma è un grande onore”, dice Armani dall’ufficio che fu di Sergio Galeotti dove ha deciso di ricevere i giornalisti per una breve conferenza stampa. Vederlo commuoversi per la tragedia in corso, e scusarsi per le lacrime, e battere il pugno sulla scrivania per questa debolezza che non si concede mai, è un gesto che colpisce anche chi lo conosce bene.
Armani fa parte dell’ultima generazione di stilisti e couturier che abbia conosciuto la guerra in prima persona; quando scoppiò la seconda guerra mondiale aveva meno di sette anni; dunque, quando evoca le immagini delle bombe, dei civili colpiti, dei bambini, sa bene di che cosa sta parlando. La sua famiglia arrivò da Piacenza in una Milano che era ancora macerie e dolore: “Qualche ora prima della sfilata ho pensato a che cosa potevo fare io per ciò che succede, e non poteva essere l’invio di soldi o di vestiti ma segnalare il battito del mio cuore per questi bambini e queste persone. Festeggiare a suon di musica non mi pareva il caso”.
Dalla moda italiana, che da una settimana presenta le sue collezioni a Milano, un segnale contro la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina doveva arrivare, ed è giusto, corretto, naturale che questo segnale sia arrivato da Armani, benché non fosse scontato, e benché si sia arrivati in pratica alle ultime ore, e alle ultime battute, perché qualcuno lo facesse: per l’Italia, la moda è un settore vitale, la seconda voce nella bilancia dei pagamenti, dà lavoro a poco meno di un milione di persone comunicazione e pubblicità comprese, dunque sarebbe stato insensato cancellarle, come chiedeva qualcuno, talvolta anche per mezzo di insulti perché, quando c’è da prendersela con parti terze, l’industria della bellezza e del lusso è il bersaglio naturale per ogni genere di frustrazioni. Piove, moda ladra. Già assisteremo a un taglio della produzione per i prossimi mesi a causa della penuria di materie prime e delle sanzioni nei confronti della Russia (vedere il Foglio di sabato). Dunque azzerare il lavoro di mesi sarebbe un danno enorme. Ma c’è modo e modo per farlo. E per fortuna c’è anche il modo dell’etica.
Alla Scala