tutta questione di reputazione
Perché sul parka di Putin Pier Luigi Loro Piana sbaglia
E' doloroso vedere il proprio nome addosso a chi esecriamo. Ma il principio che si possa prendere le distanze ex post da un cliente che effettua i propri acquisti legittimamente è surreale
Fermo restando che a chiunque di noi non farebbe piacere vedere il nome di famiglia addosso a un dittatore, resta da capire per quale motivo Pier Luigi Loro Piana abbia sentito il bisogno di "prendere le distanze" da Vladimir Putin che, nel famigerato e per certi versi misterioso discorso allo stadio di Mosca, indossava un parka Loro Piana in cashmere che lo stesso imprenditore piemontese ha riconosciuto come nemmeno troppo nuovo, cioè uscito dal guardaroba del dittatore suddetto.
Pierluigi Loro Piana detto Pigi, signore adorabile di solidissimi principi morali e grande generosità, certamente ha parlato con l'Ansa a titolo personale, visto che dell'azienda fondata dal bisnonno Pietro nel 1924 possiede da circa un decennio il 5 per cento, mentre ne' il presidente Antoine Arnault ne' l'amministratore delegato Damien Bertrand hanno sentito il bisogno di confermare le sue parole, a questo punto crediamo per non alimentare ulteriormente la polemica.
E' pur vero che Lvmh, la multinazionale a cui l'azienda fa capo dal 2013, ha condannato la guerra in corso, chiuso tutti i negozi in Russia sine die e donato 5 milioni di euro all’Icrc - International Committee of the Red Cross -, per aiutare le vittime della guerra, oltre ad aver lanciato una raccolta fondi, sempre a favore della Croce Rossa, per facilitare i contributi dei dipendenti del gruppo e delle sue 76 maison; ma il principio che si possa prendere le distanze ex post da un cliente che entra in negozio ed effettua i propri acquisti legittimamente è non solo pericoloso, ma del tutto surreale. Fosse pure l’uomo più odiato del momento sulla Terra, come è in questo caso. Oppure abbiamo intenzione di chiedere a tutti gli oligarchi, gli sceicchi, i presidenti sudamericani e a ogni satrapo a vario titolo se abbiano intenzione di invadere un paese confinante nel prossimo futuro o di continuare a imprigionare dissidenti e attivisti per i diritti delle donne e degli omosessuali prima di vendere loro una giacca o di consegnare un gioiello e una borsetta alle loro mogli? Vogliamo far passare l’idea che sia legittimo indagare sul passato dell’uomo che entra per comprare una cravatta nuova, magari avesse intenzione di uccidere sua moglie la sera successiva e di finire per farsi beccare dai carabinieri con la cravatta addosso, sai che cattiva pubblicità?
Nonostante molti degli yacht sequestrati in queste settimane agli oligarchi russi siano usciti da cantieri italiani, avete sentito qualcuno di loro delegittimarne la vendita, effettuata magari due, cinque, dieci anni fa? "Putin dovrebbe riflettere su ciò che sta facendo vivere al popolo ucraino", dice Loro Piana indignato, e siamo tutti d’accordo con lui. Ma da quando all’industria della moda, come a quella delle auto, o dell’alimentare, o dei vini di pregio, ma pure dei dentifrici e della carta igienica, spetta di alzare il ditino contro i propri clienti nel momento in cui quei clienti fanno qualcosa di sgradito a favore di telecamere? Perché la moda, a cui tutti fanno la morale e ne scrivevamo sul Foglio proprio due giorni fa, si è messa ad indossare i panni della moralizzatrice?
Qui la faccenda si fa più intricata, e vale la pena di analizzarne un po’ le ragioni. Queste ragioni fanno tutte capo al concetto del branding, cioè della marca e della sua difesa. Come chiunque sa, un’azienda deve molto del proprio valore ai cosiddetti intangible asset, i valori intangibili, di cui la marca, il brand, è elemento essenziale. Nel 2013, l’80 per cento di Loro Piana venne venduto per 2 miliardi di euro, una cifra tre volte superiore al suo fatturato, grazie alla sua reputazione immacolata e alla indubitabile qualità dei suoi prodotti. In un mondo di concorrenza agguerritissima, la brand reputation è tutto.
Dunque, si capisce che Loro Piana, pur non gestendo più direttamente l’azienda, sia furibondo all’idea che qualcuno possa associare il brand di famiglia all’uomo che ha invaso l’Ucraina, così come, ma in questo caso giustamente, la famiglia Colombo della Colmar la scorsa settimana se la prese da morire con chi aveva fornito a Matteo Salvini il giubbotto della figuraccia polacca: avevano sponsorizzato un’associazione no profit, si trovavano fotografati sul petto di un politico. Presero le distanze, e avevano ragione. In questo caso no. Putin non è un testimonial prezzolato, non ha siglato un contratto per il quale debba attenersi a un’infinità di clausole, pena rescissione del contratto stesso e penali. E’ uno di quei testimonial spontanei che nei casi migliori, come quello di Nancy Pelosi fotografata in cappotto Max Mara qualche anno fa, porta alla vendita di migliaia di capi in più; nei peggiori fa amaramente rimpiangere il momento in cui il direttore del negozio si è recato a casa di quel cliente con tre vendeuse e uno stylist. E’ così da decenni, e non c’è modo di cambiare rotta, perlomeno nel pret-à-porter.
Nella couture, come quasi nessuno sa, le cose stanno diversamente, cioè come stavano centinaia di anni fa. Nella couture vige ancora il rapporto personale fra sarto e cliente, e quel rapporto dev’essere non solo paritetico, ma anche improntato alla massima stima reciproca. Non basta essere favolosamente ricchi perché una maison come Valentino, o Armani, o Chanel, o Dior, Fendi, Valli, ti riceva in atelier e il direttore creativo si prodighi per crearti un abito su misura. Chi ha superato anni di attesa, trafile lunghissime, infinite verifiche, avvicinamenti progressivi, sa che cosa intendiamo, ma non ve lo racconterà mai perché rivelarlo significherebbe confessare di aver dovuto fare anticamera. Non è un caso che le mogli e le figlie di nomi molto discussi del potere internazionale non compaiano mai alle sfilate parigine dei brand succitati, ma figurino in prima fila in quelle di altri. Ma nessuno sbarrerà mai loro le porte di un negozio dove compreranno ciabattine, borsette, occhiali. E non può che essere così, per quanto possa fare male.
Alla Scala